La Stampa, 12 aprile 2019
Renzo Arbore: «Il jazz mi ha insegnatoa improvvisare, anche in televisione»
Renzo Arbore, cantautore, conduttore, regista..., è nato a Foggia.
«Il mio rapporto con la musica è antichissimo. Volevo essere uno di quei ragazzi che, come dice la canzone A Banda, zompano. Si è consolidato nella mia città, a Foggia, perché abitavo davanti al Circolo Ufficiali americani. A casa mia s’ascoltavano due cose: il jazz e le canzoni napoletane». Quando parla di musica, Renzo Arbore s’infiamma: ricorda, accenna, cita. Canzoni, cantanti, libri. Se poi gli chiedi del jazz, del suo jazz, del jazz della sua vita, diventa incontenibile. Passa dall’infanzia, quando piccolissimo non riusciva ad addormentarsi per la festa continua degli americani, a quando da ragazzo aveva trovato nel jazz una passione. Stasera, al Medimex Spring Foggia, s’esibirà insieme ad altri musicisti, con l’ensamble Renzo Arbore & Friends. «Il jazz si ispira e contiene tantissime cose. Ogni città aveva un suo stile. Però la sua vera essenza è l’improvvisazione. E io devo confessare che mi sono ispirato al jazz per tutta la mia carriera. Non è un caso che il libro che ho scritto si chiami “E se la vita fosse una jam session?”. Quando ho cominciato a parlare alla radio, ex-timidissimo, mi sono lasciato ispirare dai jazzisti, improvvisando. Con le parole ho fatto quello che si faceva con gli strumenti».
La prima cosa che ricorda della sua Foggia è quando tornò in città, la guerra finita, gli americani ovunque, e la loro casa era una delle pochissime ad essere ancora in piedi. «E poi ricordo la musica, quella che ha finito per segnare la mia vita». Quando è andato a Napoli si è liberato. «Ho osato, provato, sperimentato. Perché la nostra cultura, la cultura del Sud, resta napoletana. Le canzoni, il teatro, ogni cosa: sono imbevuti di questa cultura». Una cultura che, ci tiene a ribadire, è importante. Così com’è importante la canzone italiana. «Rispetto ad altri paesi europei, la nostra canzone è cresciuta e si è evoluta tantissimo; siamo passati da Signorinella a Calcutta. E io, ora, in questa stagione della mia vita, che è un po’ l’ultima, ho due missioni: riuscire a convincere le nostre istituzioni a valorizzare e a parlare della bellezza della canzone italiana, e far riconoscere la canzone napoletana d’autore come patrimonio dell’umanità».