la Repubblica, 12 aprile 2019
Angelo Aquaro ci ha lasciato. Era vicedirettore
Angelo Aquaro (1965-2019), giornalista, è nato a Martina Franca (Taranto).
Era così Angelo, prima di tutto la responsabilità del giornale. E fino all’ultimo ha fatto quel che desiderava fare: lavorare con gli altri, per gli altri. Difficile imbattersi in un giornalista altrettanto appassionato e curioso, che per il mestiere nutriva una sorta di amore devoto: generoso fin quasi alla dissipazione di sé. Un amore anche irrequieto, perché i veri amori non riposano mai. Di Angelo Aquaro non esiste un fermo immagine, neppure nei giorni bui dell’ospedale, perché immobile non sapeva stare. C’era sempre qualcosa – una notizia, un titolo, un marchingegno elettronico, un musicista indie newyorchese – per cui valesse la pena di accendersi. Non c’era orario: anche se il giornale era ormai chiuso, alle 11 di sera, un’ultima agenzia di stampa o una telefonata di un corrispondente bastavano per rivoluzionarlo. Non aveva ancora 54 anni, ma in fondo era senza età, come può esserlo un folletto impaziente. Nel suo ufficio mostrava una caricatura disegnata da un collega e amico: occhiali da sole da rocker, una chitarra in mano e la scritta “Aquarius, il vicedirettore elettrico”. La considerava un ritratto fedele. Un altro suo sopranome era “Actarus”, il pilota di Goldrake. Nato in Puglia, a Martina Franca, la passione per il mestiere l’aveva respirata in famiglia, dal padre giornalista. Ma la sua vita professionale comincia lontano da casa, alla Gazzetta di Parma, dove approda giovanissimo dopo un passaggio alla scuola di giornalismo della Luiss. La grande avventura l’aspetta però a Milano, nel magazine del Corriere della sera, Sette, dove si appropria del codice giornalistico del settimanale a cui affiancherà a breve la pratica del quotidiano. Ed è la contaminazione tra le due tecniche di lavoro a costituire la cifra particolare di Angelo, capace di arricchire la fattura delle pagine giornaliere con uno sguardo proprio del magazine: la notizia e il suo approfondimento, l’intervista e il ritratto del personaggio, la cura ossessiva dei dettagli, il titolo che s’impenna nel gioco di parole. Anche a Repubblica ripeterà la duplice esperienza, prima al fianco di Laura Gnocchi alla guida del Venerdì, sempre più spinto verso le sponde del news magazine, e poi nel lungo cursus honorum nella redazione del quotidiano che lo vede prima caporedattore centrale e poi vicedirettore: un ruolo di responsabilità, mai ammantato di superbia e sempre esercitato con una capacità di invenzione inesauribile. «Angelo aveva il sentimento del giornale, uno sguardo di insieme che gli permetteva di seguire la fattura del quotidiano in ogni suo passaggio», racconta Ezio Mauro, il direttore che l’assunse nel 2001 facendolo poi crescere nei successivi incarichi di direzione. «Cominciava a pensarlo fin dalla riunione del mattino, e non si stancava di stargli dietro fino alla fine. Con una caratteristica speciale: non si accontentava mai. E per questo era disposto a cambiare le pagine sino all’ultimo». Viveva praticamente in redazione. Non la lasciava neanche per la pausa pranzo: gli bastava un gelato per tirare avanti fino a sera, indifferente ai consigli di seguire una dieta più sana. I giornali sono come le persone, disse una volta a un gruppo di studenti in visita in redazione. Hanno un loro carattere, delle regole, delle abitudini precise. «Solitamente il giornalista giura al proprio giornale amore eterno, come nel matrimonio: fino naturalmente a un eventuale divorzio». Da Repubblica non avrebbe mai divorziato, indossando con naturalezza l’abito del quotidiano di cui conosceva l’anima. Per arrivare in anticipo sul futuro era disposto a sperimentare tutte le novità, sia che fossero i dispositivi elettronici o le prime prove della tv digitale. Al lavoro di macchina andò alternando prima la corrispondenza americana, poi quella cinese, condotte sempre con lo stesso spirito di scoperta. E precedute da uno studio rigoroso. I suoi reportage raccontano i mutamenti sociali e i movimenti che partono dal basso, siano i ragazzi di Occupy Wall Street o la Rivolta degli Ombrelli ad Hong Kong. Articoli mossi da passioni diverse che spaziano dalla politica alla cronaca, dagli spettacoli alla cultura. La musica era l’altro grande amore di Angelo. Da Bruce Springsteen ai Wilco, dai Temptations a James Brown, non c’era artista che sfuggisse ai suoi interessi – «onnivoro, curioso di tutte le tecnologie applicate al suono», lo ricorda il suo amico Luca Valtorta. E anche per questo New York divenne presto la sua seconda casa: per un ragazzo cresciuto sulle note del jazz e dell’acid jazz – disposto a tutto pur di correre a Londra per assistere alla reunion dei Velvet Underground di Lou Reed e John Cale – Manhattan rappresentò il palcoscenico da cui non si sarebbe mai separato. Là acquistò anche una casa che mise a disposizione dei colleghi. E non appena aveva tre giorni liberi, faceva la follia di precipitarsi nell’Upper West Side con la sua Anna. Repubblica era la sua vita anche per Anna, la giovane collega conosciuta al Venerdì e poi sposata. Aveva per lei un amore grande, ma mai cedeva ad affettuosità pubbliche. Era riservato Angelo, umanissimo con quel suo sguardo ironico e complice, ma mai incline a esposizioni sentimentali. E anche quando la malattia incalzava, era difficile raccoglierne un lamento. Solo Angelo poteva dirigere dal letto di un ospedale Robinson, il settimanale culturale che gli fu affidato da Mario Calabresi. Anche durante le cure continuò a fare titoli e ordinare pezzi. Tutto bene? Tutto bene, Angelo. Ottimo, sempre ottimo. Era un entusiasta vero: non c’era palla che rimanesse nel suo campo, pronto a restituirtela indietro con doppia piroetta. Nessuno tra noi lo ricorda mai angosciato o di cattivo umore. Delle cose coglieva sempre il lato positivo. E quando protestavamo per i suoi titoli un po’ azzardati, a ricalco delle canzonette, assumeva quella sua espressione divertita e mite a cui si perdonava tutto. Una volta tornato al giornale, fu felice di ricevere dal neodirettore Carlo Verdelli nuove responsabilità sempre in veste di vicedirettore. Per l’8 marzo ci fece trovare le mimose sul tavolo: era la prima volta che le regalava, c’erano tante cose da festeggiare, non soltanto le donne. Solo poche settimane fa ha coperto il turno di un intero weekend in redazione: non gli capitava da tempo di stare da solo al timone di Repubblica. E finalmente poteva ritrovare l’adrenalina del quotidiano, fino a notte avanzata, per le elezioni in Basilicata. Ce l’aveva fatta. E se ne poteva tornare a casa tranquillo, sapendo di aver fatto la sua buona battaglia. È morto da vivo, Angelo.