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 2019  aprile 11 Giovedì calendario

L’accusa di Ratzinger sulla pedofilia nella Chiesa

Con un’ombra di minimalismo, spiega di avere «messo insieme degli appunti con i quali fornire qualche indicazione che potesse essere d’aiuto in questo momento difficile». Ma sono ben altro. Le diciotto pagine e mezzo sulla Chiesa e lo scandalo degli abusi sessuali, scritte dal Papa emerito, Benedetto XVI, rappresentano l’analisi più corposa dei vertici vaticani su un tema che sta squassando l’universo cattolico, e non solo: la pedofilia. E il fatto che arrivino dopo la riunione del febbraio scorso a Roma dei presidenti delle conferenze episcopali del mondo, convocati da Francesco, aggiunge interesse e mistero a questo documento. Anche perché Joseph Ratzinger punta il dito su un «garantismo» della Chiesa per il quale, negli anni Ottanta del Novecento, sulla pedofilia «dovevano essere garantiti soprattutto i diritti degli accusati. E questo fino al punto di escludere di fatto una condanna. Il loro diritto alla difesa venne talmente esteso che le condanne divennero quasi impossibili».
I l testo è un pugno nello stomaco. E probabilmente non potrà non creare polemiche, perché ci sarà chi vedrà nelle affermazioni di Benedetto XVI un attacco a un’evoluzione dei costumi in Occidente negli ultimi cinquant’anni. Joseph Ratzinger parte da lontano, e spiega di avere deciso di pubblicarlo sul mensile tedesco Klerusblatt dopo «contatti», li definisce così, con il segretario di Stato, Pietro Parolin, e con lo stesso Papa Francesco. Dunque, ne ha informato i vertici della Santa Sede. Ma scorrendolo, probabilmente qualcuno avrà la sensazione che finisca per affiancare e sovrastare le conclusioni della riunione globale di febbraio. E sarà tentato di considerare gli «appunti» come un modo per dare profondità teologica e spessore culturale alle conclusioni raggiunte in quella sede: come se fossero mancati nelle risposte agli scandali sulla pedofilia tra i sacerdoti. Se Benedetto ha sentito il bisogno di aggiungere il suo pensiero a quello ufficiale, si sente dire, significa che non è stato del tutto convinto dalla reazione ufficiale della Chiesa, nonostante l’inasprimento delle pene e il «grazie» netto all’azione di papa Francesco.
Il Papa emerito si affaccia sull’abisso che si è aperto in mezzo secolo di quella che sembra bollare solo come cultura della trasgressione. E lo analizza, lo denuncia, lo osserva senza nascondere nulla delle responsabilità della nomenklatura ecclesiastica. C’è un’espressione che ricorre spesso nelle sue riflessioni: «Collasso morale». Ratzinger lo fa risalire alla seconda metà degli Anni Sessanta del secolo scorso: a quella «fisionomia della Rivoluzione del 1968» della quale farebbe parte «anche il fatto che la pedofilia sia stata diagnosticata come permessa e conveniente». «Mi sono sempre chiesto», annota, «come in questa situazione i giovani potessero andare verso il sacerdozio e accettarlo con tutte le sue conseguenze. Il diffuso collasso delle vocazioni sacerdotali in quegli anni e l’enorme numero di dimissioni dallo stato ecclesiastico furono una conseguenza di tutti questi processi». Fu nello stesso periodo, a suo avviso, che cominciò «un collasso della teologia morale cattolica che ha reso inerme la Chiesa di fronte a questi processi della società». Si tratta di un processo proseguito, a suo avviso, negli Anni Settanta e Ottanta, quando la pedofilia è diventata «una questione scottante».
Lo sguardo di Benedetto è puntato soprattutto sulla sua Germania come laboratorio di una trasgressione progressiva. Ma da lì spazia sugli Stati Uniti e abbraccia in una visione pessimistica, quasi apocalittica, l’intero Occidente. Nella sua analisi racconta come in quel periodo si radicò l’idea che non esistesse più il bene, «ma solo ciò che sul momento e a seconda delle circostanze è relativamente meglio». La crisi, a quel punto, aveva raggiunto «forme drammatiche». Parla di «club omosessuali» che si formarono in molti seminari; di vescovi che rifiutavano la tradizione cattolica, e non solo negli Stati Uniti, in nome di «una specie di moderna cattolicità». Accenna al fatto che in alcuni seminari, addirittura «studenti sorpresi a leggere i miei libri venivano ritenuti non idonei al sacerdozio». E «la Santa Sede sapeva di questi problemi», sebbene non in dettaglio. Il Papa emerito rivaluta lo sforzo compiuto da Giovanni Paolo II per arginare quella che ha ritenuto una deriva pericolosa. Ne sottolinea la figura e la fermezza teologica, in un momento in cui, invece, alcune correnti progressiste del cattolicesimo tendono a svalutarlo.
Fu il pontefice polacco, ricorda il successore, a pubblicare nel 1993 un’enciclica, la Veritas Splendor, che «conteneva l’affermazione che ci sono azioni che non possono mai diventare buone. Ci sono beni che sono indisponibili. Ci sono valori che non è mai lecito sacrificare in nome di un valore ancora più alto e che stanno anche al di sopra della conservazione della vita fisica. Dio» scrive Benedetto XVI, «è di più anche della sopravvivenza fisica». Per questo, ribadisce che «è importante e abbisogna di garanzia non solo il diritto dell’accusato. Deve proteggere anche la fede, che al pari è un bene importante protetto dalla legge». La duplice garanzia, a suo avviso, è «la protezione dell’accusato e la protezione giuridica del bene che è in gioco». Ma quando oggi se ne parla, «ci si scontra con sordità e indifferenza... È una situazione preoccupante, sulla quale i pastori della Chiesa devono riflettere seriamente». Rispuntano i controversi «valori non negoziabili», seppure chiamati diversamente, che hanno caratterizzato i pontificati prima di quello di Francesco.
Ma il pontefice tedesco vede in quanto è accaduto e sta emergendo proprio la rinuncia a quei valori. E chiama in causa le responsabilità dell’Occidente. «La società occidentale», denuncia, «è una società nella quale Dio nella sfera pubblica è assente e per la quale non ha più nulla da dire. In alcuni punti, allora, a volte diviene immediatamente percepibile che è divenuto addirittura ovvio quel che è male e distrugge l’uomo. È il caso della pedofilia». Benedetto XVI ricorda come «non molto tempo fa» fosse «teorizzata come del tutto giusta»; e come si sia «diffusa sempre più. E ora, scossi e scandalizzati, riconosciamo che sui nostri bambini e giovani si commettono cose che rischiano di distruggerli. Che questo potesse diffondersi anche nella Chiesa», aggiunge, «deve scuoterci e scandalizzarci in maniera particolare. Come ha potuto la pedofilia raggiungere una dimensione del genere? Il motivo sta nell’assenza di Dio».
Il vuoto non riguarda solo il mondo esterno alla Chiesa. Ratzinger vede nel calo drammatico dei fedeli alle Messe domenicali la riduzione di queste celebrazioni a «gesto cerimoniale». E raccomanda non «un’altra Chiesa inventata da noi», ma un «rinnovamento della fede». Per far capire il solco profondo scavato dai sacerdoti pedofili in questi decenni, cita un episodio raggelante. «Una giovane ragazza che serviva all’altare come chierichetta mi ha raccontato che il vicario parrocchiale introduceva l’abuso sessuale su di lei con queste parole: “Questo è il mio corpo dato per te”. È evidente», chiosa, «che quella ragazza non può più ascoltare le parole della consacrazione senza provare terribilmente su di sé tutta la sofferenza dell’abuso subito». Ma il testo va ancora più a fondo. E mette in discussione il modo in cui negli ultimi anni la Chiesa è stata percepita: come un apparato politico.
Secondo il papa emerito, «di essa si parla solo utilizzando categorie politiche e questo vale perfino per dei vescovi che formulano la loro idea sulla Chiesa di domani in larga misura quasi esclusivamente in termini politici. La crisi causata da molti casi di abuso ad opera di sacerdoti spinge a considerare la Chiesa addirittura qualcosa di malriuscito che dobbiamo prendere per mano noi stessi». Ma secondo Ratzinger si tratta di un’illusione, di una «proposta del diavolo». A suo avviso, non esiste «una Chiesa migliore creata da noi stessi». E infatti, la parte finale dei suoi «appunti» è una rivendicazione dell’esigenza di «contrapporre alle menzogne e alle mezze verità del diavolo tutta la verità: sì, il peccato e il male nella Chiesa ci sono», scrive il Papa emerito. «Ma anche oggi c’è pure la Chiesa santa che è indistruttibile. La Chiesa di oggi è come non mai una chiesa di martiri...».
Il tono è drammatico, somiglia a un grido degno di una sorta di requisitoria. Indica una strada lastricata di errori tragici, e di una perdita progressiva dell’identità cattolica. E addita una via d’uscita dai tanti «collassi» morali di mezzo secolo attraverso scelte difficili, radicali, che non prevedono scorciatoie. E probabilmente promettono di dividere il mondo cattolico, e non solo, prefigurando nuovi spartiacque. L’impressione è che dall’eremo vaticano nel quale vive dalle sue dimissioni del 2013, Benedetto XVI guardi già oltre questa fase; e oltre il pontificato dello stesso Francesco, al quale rivolge un accorato ringraziamento finale «per tutto quello che fa».