La Stampa, 11 aprile 2019
Il lato ebraico del Rinascimento
È un percorso mai visto nel Rinascimento quello della mostra che inaugura domani al Meis di Ferrara, dove resterà fino al 15 settembre. Intitolata «Il Rinascimento parla ebraico» e curata da Giulio Busi e Silvana Greco, l’esposizione guarda a uno dei periodi culturali più importanti attraverso la lente del dialogo, dell’incontro ma anche dei momenti difficili tra la cultura ebraica e quella cristiana in Italia.
Opere d’arte, codici miniati, documenti, in una scenografia che permette di immergersi in un viaggio nel mondo ebraico dell’epoca: ed ecco le botteghe, le case, i luoghi di studio, una sinagoga rinascimentale in cui si può ammirare il più antico esemplare italiano di Aron Akodesh, ovvero l’armadio sacro che racchiude i rotoli della Torah. Ci sono la Guida dei perplessi del rabbino e filosofo Mosè Maimonide, il prezioso manoscritto «testimone» nella Mantova rinascimentale, e un contratto tra un ebreo e un cristiano per l’istituzione di una scuola di ballo a Pesaro, firmato da un notaio d’eccezione: si tratta di Antonio da Vinci, il padre di Leonardo.
In alcuni dipinti si nascondono o spuntano scritte ebraiche, come nella Sacra famiglia e famiglia del Battista di Andrea Mantegna, in cui Giuseppe veste una fascia con su scritto «padre». «La mostra affronta uno dei periodi più importanti della storia della nostra Penisola», spiega il presidente del Meis Dario Disegni, «in cui venne coniata di fatto l’identità culturale italiana: rappresenta, quindi, un progetto originale e di grande rilevanza, indispensabile per la diffusione di valori fondamentali di civiltà nel complesso momento storico che stiamo attraversando».
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