Avvenire, 11 aprile 2019
Al Sud pochi inceneritori
Ancora troppi rifiuti smaltiti in discarica, mentre mancano impianti di termovalorizzazione soprattutto nel Centro-Sud. È questo ciò che ci restituisce l’ultimo rapporto sul recupero energetico da rifiuti nel nostro Paese, presentato ieri da Utilitalia e Ispra. Partiamo dai numeri: sul territorio nazionale, con notevole disparità a livello regionale, sono distribuiti circa 180 impianti (142 per la digestione anaerobica, di frazione organica e fanghi di depurazione, e 37 inceneritori) per il trattamento degli scarti di lavorazione dei processi di riciclaggio e di recupero energetico. Nel 2017 tali impianti hanno prodotto un quantitativo di energia pari a 7,6 milioni di MWh, in grado di soddisfare il fabbisogno di circa 2,8 milioni di famiglie. Non solo: che l’energia proveniente da impianti di digestione anaerobica sia totalmente rinnovabile, e tale sia oltre la metà di quella da inceneritori, comporta una sensibile riduzione delle emissioni di gas responsabili dei cambiamenti climatici, andando a sostituire il combustibile fossile. Ed essendo un’energia «fatta in ca- sa» contribuisce a ridurre importazioni e dipendenza dell’Italia dall’estero. Considerazioni queste, che occorre leggere a fianco di una scadenza: quella del 2035, entro la quale le direttive Ue impongono il 10% come soglia massima per il ricorso allo smaltimento in discarica. L’obiettivo per il nostro Paese, che attualmente destina alle discariche il 23% dei rifiuti prodotti, appare piuttosto lontano, non solo in termini quantitativi, per la carenza impiantistica del Mezzogiorno, ma anche alla luce dell’adozione delle corrette politiche di economia circolare, in conseguenza delle quali, con l’aumento del volume di differenziata, si avrà anche l’incremento di scarti e rifiuti organici da lavorare.
A seguito della chiusura dei centri di Colleferro, in provincia di Roma, e Ospedaletto, nel Pisano, sono 37 gli impianti dislocati sul territorio: 25 al Nord, 6 al Centro e 6 al Sud. L’85% delle scorie prodotte dai 6 milioni di tonnellate di rifiuti, di cui oltre 5 urbani, sottoposti ai processi di incenerimento, sono state avviate a riciclaggio.Nonostante, anche in questo caso, si registri il problema della saturazione deimezzi, non sono in agenda nuove aperture, soprattutto, a ragione della difficile accettabilità sociale legata alla specifica tipologia di impianti.
Quali scenari si aprono dunque per il futuro? Sostenere raccolta differenziata e riciclaggio, senza dotarsi di una strutturata rete impiantistica, impedirà, evidentemente, la quadratura del cerchio di raccolta- riciclo-recupero. «Se intendiamo rispettare i target europei, l’Italia dovrà dotarsi di nuovi impianti, in particolare, per il trattamento della frazione organica, perché quelli attuali sono già saturi e, fortunatamente, le pratiche di raccolta differenziata sono in costante aumento – spiega il vicepresidente Utilitalia, Filippo Brandolini –. Altrimenti, invece di premiare, vanifichiamo lo sforzo richiesto ai cittadini di differenziare l’organico» conclude, sottolineando come occorra una strategia nazionale «tesa a definire i fabbisogni territoriali e a colmare l’attuale gap geografico, in modo da limitare il trasporto fra diverse Regioni». Ad oscurare la fotografia scattata da Utilitalia contribuisce un quadro normativo, talvolta, confuso. «Nel 2017 il 38% dell’energia prodotta dagli inceneritori è stata oggetto di incentivi, ma questa percentuale si ridurrà progressivamente nei prossimi 10 anni. Inoltre, dal rifiuto organico si produce compost e un carburante pulito come il biometano, su cui, però, la legislazione non si è ancora espressa in modo definitivo».
Complessivamente, gli impianti di digestione anaerobica hanno prodotto 1,2 milioni di MWh e gli inceneritori 6,4 milioni di MWh, tra produzione elettrica e termica. Il 100% dell’energia prodotta dagli impianti di compostaggio ed il 51% di quella prodotta dai termovalorizzatori è energia rinnovabile e non produce gas serra.