Libero, 11 aprile 2019
Sempre più armi da fuoco, sempre meno omicidi. I numeri sulla criminalità in Italia diffusi da Polizia e Istat dipingono una realtà che fa a sberle con il ritornello cantato quotidianamente dalla stragrande maggioranza dei mezzi d’informazione
Sempre più armi da fuoco, sempre meno omicidi. I numeri sulla criminalità in Italia diffusi da Polizia e Istat dipingono una realtà che fa a sberle con il ritornello cantato quotidianamente dalla stragrande maggioranza dei mezzi d’informazione. Ci raccontano di un’impennata di femminicidi, quando il numero è sostanzialmente stabile. Sostengono ci sia un rapporto diretto tra la diffusione di rivoltelle e i crimini violenti, ma alla fine solo 5 delitti su 100 sono commessi da individui che detengono lecitamente una pistola in casa. Per il resto nel raptus ci si arrangia con quel che c’è: coltelli, soprattutto. Ma siccome diventa difficile pensare di sequestrare tutti i servizi di posate da Siracusa a Bolzano, in maniera un po’ sterile ci si concentra su altri ferri. Lo stesso principio vale per la legittima difesa: da quando la Lega (e pure Libero, nel suo piccolo) ha lanciato la campagna per riformare la legge in materia, i nostri concittadini sono descritti come cowboy psicopatici pronti a sforacchiare il primo poveraccio che imbocca il vialetto di casa, anche se si tratta del garzone del pizzaiolo. In realtà parliamo di episodi assolutamente inconsueti, frazioni infinitesimali: circa lo 0,12% del totale delle morti violente. In generale, è più frequente che sia il rapinatore a uccidere, insomma. Poi c’è un’altra sorpresa. Secondo uno studio dell’Università la Sapienza di Roma, le regioni dove è diffusa “una cultura sportiva armiera” (a tal proposito, suggeriamo di colpire piattelli piuttosto che povere bestie) sono in assoluto quelle dove si spara di meno al prossimo. Le doppiette sarebbero «un efficace deterrente all’abuso», dice la ricerca coordinata dal professor Paolo De Nardis. In altre parole, se siete cresciuti con la carabina dello zio appesa alla parete della cantina, è statisticamente meno probabile che voi siate un potenziale omicida. Questo perché «l’apprendimento di meccanismi automatici di sicurezza, unito alla consapevolezza della cura e attenzione che il maneggio delle armi richiede, si concretizzano in una vera e propria cultura della sicurezza».
LA CRESCITA
Non c’è quindi da allarmarsi se effettivamente i dati indicano un costante aumento della presenza di prodotti Beretta, Glock e simili. Siamo passati dai 110mila pezzi del 2007 ai 140mila al 2017. E in questo stesso periodo le vittime sono scese da 632 a 357. E anche lo scorso anno i primi dati diffusi dalle questure indicano che la tendenza è sempre positiva: da 105 a 89, per quanto riguarda le indagini effettuate dalla Polizia di Stato. E siccome tutto va bene, l’Europa ovviamente si muove nella direzione opposta.
LA RIFORMA
Un paio d’anni fa, sull’onda degli attentati a Parigi, il Parlamento di Bruxelles ha varato una direttiva che limita drasticamente la diffusione di bocche da fuoco. La teoria: meno kalashnikov significa meno terroristi. In pratica, però, è ovvio che i fanatici islamici (come i criminali) non si servono dei negozi, ma seguono canali illegali per rifornirsi e commettere stragi. L’Ue, tuttavia, non sembra considerare questo ragionamento valido, così ha varato una riforma che limita la diffusione di rivoltelle e penalizza pesantemente quei Paesi che, come l’Italia, sono da sempre produttori. Questo settore da noi vale lo 0,5% del Pil. Parliamo di un giro d’affari di circa 7 miliardi l’anno che coinvolge cinquecento imprese e migliaia di dipendenti. Aziende bastonate in nome dell’illusione di vivere più sicuri. Eppure che non sia così lo dimostra un’altra classifica, quella delle nazioni dove in generale circolano più fucili. In Europa in testa ci sono la placida Svizzera e la sonnolenta Finlandia, dove un furto di un portafogli fa notizia quanto lo scoppio di un’atomica.