Libero, 11 aprile 2019
La frittura fa bene, lo dice la scienza
Il vostro piatto preferito sono le patatine fritte ma vi hanno insegnato a diffidarne? Bene, è ora di dare libero sfogo alla libidine e di sfatare uno dei miti più duri a morire: le fritture non solo non farebbero male, ma, secondo uno studio spagnolo, sarebbero perfino un toccasana, favorendo il rilascio di antiossidanti utili a contrastare lo sviluppo del cancro. La professoressa Cristina Samaniego Sanchez della facoltà di farmacia di Granada, nel compiacersi della ricerca in oggetto, da lei capitanata, ha invitato a dissimulare la paura del grasso associato al consumo di fritture, soprattutto alla luce del fatto che, in un soggetto normopeso, qualche etto in più non è da considerarsi un eccessivo investimento se equiparato al proporzionale incremento dei propri antiossidanti. Alimento protagonista dell’indagine è stata la verdura, la quale, secondo i risultati conseguiti, manterrebbe al meglio le sue proprietà se saltata in padella. La cottura in acqua, al contrario, favorirebbe la dispersione degli antiossidanti comunemente presenti in ortaggi quali patate, melanzane e pomodori: «la frittura», ha affermato la Sanchez, «produce i maggiori aumenti associati alla frazione fenolica, il che significa un miglioramento del processo di cottura. Nel corso degli anni è stata demonizzata, ma adesso non è ora di riabilitarla».
L’IMPORTANZA DELL’OLIO
Largo quindi alla frittura, ricordando però che il suo consumo ottimale prevede il rispetto di alcune imprescindibili regole. Prima fra tutte è la scelta dell’olio: orientarsi sempre verso l’extravergine d’oliva; il motivo è semplice: esso ha il punto di fumo più alto, ciò significa che, a parità di tempo sul fuoco, sviluppa l’acroleina (sostanza tossica per il fegato) ben più tardi degli altri oli. Tra gli accorgimenti da non trascurare vi è pure la riduzione dei tempi di cottura, i quali non andrebbero assoggettati all’istinto del cuoco di bruciacchiare l’alimento per renderlo più appetibile: dorato è buono, annerito lo è molto di meno. La temperatura dell’extravergine va mantenuta attorno ai 180°C, allo scopo potrebbe tornare utile un termometro da cucina, il cui impiego non farebbe dello chef un “Furio” di verdoniana memoria ai fornelli, bensì un garante della salute sua e di quella dei commensali. Altra abitudine da perdere è il riciclo ostinato dello stesso olio a scopo di risparmio, usanza alla quale si aggiunge spesso quella non meno discutibile di addizionare nuovo olio a quello già alterato. Ma non si dovrebbe lesinare neppure sulle padelle: optare per quelle antiaderenti ed in acciaio è un investimento per il quale, il nostro fegato, ci ringrazierà. Quanto al resto, mettete a tacere i fanatici del cibo da refettorio ricordandogli di come, anche le pietanze a loro care, possono sviluppare la paventata acrilamide: la formazione di quest’ultima, come approfondito in un rapporto dell’autorità europea per la sicurezza alimentare, non sarebbe favorita dalla sola frittura, ma anche da altri metodi di cottura gettonati pure tra i maniaci del salutismo, come la cottura al forno. Fritto, carte in mano, oltre ad essere buono è anche sano, purché non se ne abusi. Sarà per questo che la Sicilia, nota per i suoi sapidi arancini fritti, è anche conosciuta quale “isola dei super nonni”, vantando un’alta percentuale di ultracentenari in salute.