Corriere della Sera, 11 aprile 2019
Ritratto di Ignazio Marino
Il professor Ignazio Marino si sta imbarcando su un aereo che da Santiago de Querétaro, in Messico, lo porterà a Philadelphia, negli Stati Uniti.
Quindi, niente interviste.
Cioè, no: spiega che farà scalo per pochi minuti a Houston, ad un paio di giornali propone perciò che qualche domanda gli sia spedita via e-mail, proverà a rispondere quando l’hostess dirà ok, potete accendere telefonini e tablet.
Va bene. Poi vedremo se ha cose interessanti da raccontare.
Intanto: su Facebook ha scritto che prova sollievo, ma non allegria. È comprensibile. L’assoluzione ottenuta dalla Cassazione – l’avevano accusato di peculato e falso per certe cene di rappresentanza organizzate quando era sindaco di Roma – è arrivata dopo un saliscendi tremendo durato tre anni: assolto in primo grado, condannato in appello. Una storia con dentro tanta politica, e tanto Pd (meglio: tanto vecchio Pd; il partito all’epoca di rigido rito renziano che, dopo averlo sopportato, lo abbandonò, con i consiglieri democratici a firmare dimissioni di gruppo da un notaio. Politicamente, una liturgia pazzesca).
Per rinfrescare la memoria: Marino fu costretto alle dimissioni incalzato dal Movimento 5 Stelle, che si muoveva guidato da un grillino particolarmente esagitato, Marcello De Vito, oggi in carcere per corruzione (memorabili quei sit-in sulla piazza del Campidoglio al grido di «O-ne-stà! O-ne-stà!») e da Matteo Orfini, all’epoca commissario straordinario del Partito democratico e uomo di fiducia di Matteo Renzi.
Orfini, in queste ore, dice che rifarebbe tutto. Dice che Marino non cadde per la storia degli scontrini, ma perché non era adeguato. Bisognerebbe aggiungere: cadde anche perché – come ricordano numerosi osservatori – non era renziano (in quei mesi, a Montecitorio, i monaci e le sacerdotesse del renzismo dicevano: «Chi non è con noi, lo asfaltiamo»). Non controllabile e, invece, irrituale, spiazzante, goffo.
Sembra ieri: il chirurgo di fama che arriva da Genova passando per la fondazione di Massimo D’Alema «Italianieuropei» e per Palazzo Madama con un curriculum di oltre 700 trapianti d’organo (compreso il primo nella storia dal babbuino all’uomo) e il poster di Che Guevara piegato nel trolley, alla vigilia dei 60 anni eletto sindaco grazie ad un colpo di mano di Goffredo Bettini, per mesi cerca di sottrarsi alla morsa dei poteri forti, decide che la cosa più urgente da fare sia chiudere al traffico via dei Fori Imperiali e non si accorge che la criminalità gli ha contagiato come una tigna tutto il consiglio comunale, dove quasi ogni partito fa affari con Salvatore Buzzi e con il camerata Massimo Carminati, «er cecato».
Disse: «Mafia Capitale? Non mi sono accorto di nulla» (così gli cambiarono il soprannome: da «Marziano» diventò «Bambi» – copyright Walt Disney).
Adesso, invece, che dice?
Sono appena arrivate le sue risposte dagli Stati Uniti.
Il ruolo del M5S
L’ex primo cittadino fu incalzato da De Vito, oggi agli arresti, al grido di «onestà, onestà»
(Sintesi.
Professore, aspetta le scuse di Orfini?
«No. Le scuse presuppongono capacità di autocritica e onestà intellettuale».
Perché, all’epoca, tanta ostilità da parte di Renzi?
«Non so in base a cosa giudicasse il mio operato. Troppo concentrato su se stesso. Però bisogna riconoscergli che è riuscito nell’impresa di perdere Roma, distruggere il Pd e consegnare l’Italia alla Destra».
I piani del Pd renziano, secondo alcune ricostruzioni, erano due: 1) al Campidoglio dobbiamo mettere un nostro uomo 2) se non ci riusciamo, e il nuovo sindaco sarà del M5S, l’Italia si accorgerà che i grillini non sanno governare, anticipando quindi un po’ la teoria del «mangiamo i popcorn e vediamo cosa sanno fare».
«Un piano scellerato, giocato sulla pelle di una intera città».
Ha intenzione di ricominciare a fare politica? Aspetta un segnale dal nuovo segretario Nicola Zingaretti?
«Sono tornato alla mia vita accademica, vivo e lavoro a Philadelphia. Certo l’impegno civile non viene meno, ma non c’è solo la politica, per questo»).
Chi lo conosce, pensa: può essere capace di tutto. Anche di fondare un partito. In effetti, è già stato capace di molto. Ricorderete le multe collezionate dalla sua famosa Panda rossa nella Ztl, le immersioni ai Caraibi mentre i Casamonica bloccavano Cinecittà per un funerale in stile Padrino, e poi quella volta che Papa Bergoglio se lo ritrovò in aereo – «Ma io non l’ho invitato», disse il Pontefice, seccato.
Un personaggio («Ovviamente, è scontato che la mia intervista avrà il richiamo in prima pagina. O no?»).