la Repubblica, 11 aprile 2019
Il film su Steve Bannon
Niente divise, niente magliette, completo blu e cravatta verde: parla persino un po’ d’inglese il Matteo Salvini antieuropeo che dà la mano agli altri europei antieuropei e al loro guru, che però è americano: quello Steve Bannon grande stratega della destra mondiale cacciato da Trump nel 2017 per il suo appoggio ai suprematisti bianchi dopo la tragedia di Charlottesville, e sconfitto nel dicembre dello stesso anno per aver sostenuto in Alabama il candidato senatore Roy Moore, repubblicano ultraconservatore accusato di pedofilia, battuto da un democratico. Ma Bannon è un irriducibile, accettata la sconfitta ha deciso di portare la sua predicazione di estrema destra, razzista, anti immigrati anti mussulmani e forse antisemita in Europa, in vista delle ormai imminenti elezioni di maggio. L’avvincente documentario The Brink – Sull’orlo dell’abisso l’ha diretto Alison Klayman seguendo per più di un anno l’ex banchiere di Goldman Sachs ed ex direttore del parafascista Breitbart News nel suo viaggio e nei suoi incontri americani e poi europei allo scopo, per ora non raggiunto, di unificare tutta l’estrema destra, farne un movimento globale e vincere le elezioni. Sono diabolici, sia Bannon che la giovane signora Klayman: lui non le ha posto limiti, le ha concesso di seguirlo ovunque e di filmare tutto, perché, spiega nelle riprese, “l’importante è raggiungere l’informazione democratica, far parlare comunque di noi: infatti, come ha detto Trump, più ci attaccano più consensi raccogliamo”. Non si arrabbia mai con chi lo intervista e per esempio alla bella giornalista televisiva che non gli dà tregua alla fine dice sorridendo “Lei è proprio tosta, complimenti”.
La regista, al contrario di Michael Moore e di altri, non lo prende mai in giro, non lo ridicolizza né lo esecra: lo mostra soltanto, mentre mangia e beve la sua Kombucha, tè fermentato salutista (deve essere una virtù di destra quella di farsi riprendere con la bocca piena), mentre telefona, mentre dà la mano alla Le Pen. Quando esprime le sue teorie e i suoi progetti e Salvini, i rappresentanti sovranisti e molto chic di Francia, Svezia, Belgio, Inghilterra, Polonia, Ungheria lo guardano estasiati, complici, vincenti: un maestro, una guida, una garanzia. “Lo chiameremo Il Movimento, la nostra sarà una democrazia cristiana tradizionalista”. Eppure è questo distacco della regia che smaschera la ferocia educata di Bannon, la sua inconcludenza, la pericolosità della sua visione e di quella dei suoi amici europei che hanno come unico sostegno la rabbia diffusa della gente.
Steve Bannon ha 64 anni, un fisico grassoccio ("devo perdere 16 chili"), è vestito casualmente anche con due camicie una sull’altra, ha il fiato corto, una faccia gonfia che doveva essere bella ("da giovane assomigliavo a David Bowie"), capelli bianchi sempre a posto: parla con estrema calma, ragiona amichevolmente, dà fiducia, è simpatico affascina: suscita contemporaneamente rifiuto e rabbia. Lo si vede fuori di sé, spettinato, bestemmiante, solo nella notte in cui i democratici si riprendono il congresso e il suo primo pensiero è “non ci daranno i soldi per il Muro!”.
Negli Stati Uniti riempiva le piazze di folle impazzite d’amore e altrettante impazzite contro. A Roma, dove lui ha vissuto mesi, si vede un suo incontro, forse in un albergo, comunque in un luogo non specificato, in cui furoreggiano gli applausi di belle signore eleganti e bei signori con abbronzatura da barca. Non si vorrebbe sembrare eccessivamente di parte, ma il Salvini che anche il New York Times definisce “il politico più importante d’Italia” non pare avere molto peso tra i suoi colleghi ormai più nazi che di destra, né con Bannon: una stretta di mano e via, mentre le strade da intraprendere per distruggere l’Europa le prendono gli altri, naturalmente a tavola, in una seduta senza di lui.
The Brink, in sala dal 29 aprile, comincia con una visita di Bannon a Birkenau in cui deplora ovviamente l’Olocausto, ma ammirando scherzosamente l’industria tedesca che lo costruì in un baleno. E finisce con la notte delle elezioni di midterm a Washington, e la voce femminile di una democratica eletta che gioisce: “I giovani potranno realizzare il loro sogno americano, ci saranno una gestione più umana dell’immigrazione e della giustizia penale, proteggeremo il diritto delle donne alla scelta…”.