la Repubblica, 11 aprile 2019
Melissa Panarello: «Sono una Lolita molto pentita»
Melissa Panarello, scrittrice, è nata a Catania.
A diciassette anni, nel 2003, firmò il bestseller erotico “100 colpi di spazzola”. Ora, dopo l’astrologia e i reality, è incinta, torna con un nuovo romanzo e si riprende il cognome: Panarello. “Quel marchio è stata una galera” ROMA Bocca rosso fragola, pantaloni dello stesso colore, Melissa Panarello è una Venere tascabile. L’appuntamento è nel cuore di San Lorenzo, il quartiere dove abita a Roma. «Tutto bene? Ho una grande novità: aspetto un bambino», dice con un sorriso così, mentre ci avviamo verso un bar. Incinta come la protagonista del nuovo libro, Il primo dolore (La nave di Teseo), storia parallela di una madre e una figlia. Due gravidanze. «La vita è fatta di coincidenze incredibili» spiega, «il romanzo l’ho scritto due anni fa». La quarantenne Rosa, bionda e consapevole, è l’esatto contrario della madre Agata, bruna sensuale nata in un paese della Sicilia; inconsapevole della propria femminilità, della sessualità e di essere una cattiva madre. La ragazza che a diciassette anni, quando era Melissa P., fece scandalo con 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire (bestseller da oltre due milioni di copie, venduto in 42 paesi), a 33 anni non si è fatta mancare niente. Ha scritto otto libri, cura una rubrica di astrologia su Grazia, ha fatto anche tv, Victor Victoria e L’Isola dei famosi. Da Melissa P. a Melissa Panarello per dimenticare la ragazza che fece scandalo? «Ho riconquistato il cognome che mi era stato tolto. Quella P. fu una scelta dei miei genitori; non volevano si sapesse che ero l’autrice del libro, un marchio diventato galera. Riprendermi il cognome significa riappropriarmi della mia storia». “Il primo dolore” racconta, con i dettagli, cosa significhi essere incinta. Com’è nata l’idea? «Una notte ho sognato una donna che stava partorendo, mi sono chiesta: chi è? Voglio conoscerla. Solo adesso ho capito che mi ha aiutato a risolvere il mio problema col materno. Il primo dolore è quello del parto, il primo che ti dà la madre al momento della nascita. Il dolore dei dolori. Venire al mondo è dura. Le amiche mi hanno raccontato il parto: il corpo ricorda». Dedica il libro a sua madre. Che rapporto avete? «Difficile. All’inizio era un rapporto stretto, poi si è complicato. Sono andata a fondo, era il momento. Mia madre è stata una donna molto frustrata dalla vita e nella frustrazione ha messo, oltre alla rabbia, l’idea di dover essere compatita. Il compatimento non aiuta, ma non la giudico. Le donne del libro rappresentano le due istanze: la prima pacificata, l’altra incapace di accogliere il nuovo per diventare altro da sé. Una partorisce oggi, l’altra negli anni Settanta». Si identifica in Rosa o in Agata? «Io sono Rosa, ma le mie parti oscure sono quelle di Agata, lei è la mia voce buia». Crede nella possibilità della riconciliazione? «Credo che per farlo, ognuno debba rinunciare a qualcosa di sé. Io sono Sagittario, lascio andare il risentimento. Non è bontà, è deresponsabilizzazione». Svicolare dalle responsabilità è un atteggiamento maschile. Gli uomini del romanzo sono, in modo diverso, stereotipati. «Lì ha giocato la mia visione dell’amore. Non credo che esista quello romantico, non ho l’idea dell’amore che ti rapisce, mi interessa che l’uomo sia un compagno di vita. Non è detto che la persona con cui fai famiglia sia quella che ami di più. Guarda caso tendiamo a innamorarci degli stronzi o di chi non ti dà ciò che vuoi». Fra le due tipologie oggi cosa ha scelto? «Matteo, il mio compagno, è buono ma cerco di tirargli fuori la cattiveria che non ha. Una novità per me, non è un caso che mi abbia portato a una gravidanza. Con lui diventerò madre». L’hanno criticata come scrittrice e come donna: ha mai A sinistra, la scrittrice Melissa Panarello pensato che avessero ragione? «Quando ero più piccola c’era l’arroganza della giovinezza, crescendo le critiche mi hanno ferito e mi sono arrabbiata, ma la rabbia è stata salvifica. Mi sono chiesta perché non puoi essere carina donna giovane, ma devi avere qualcosa che non va. Molti di quelli che criticano non hanno letto neanche la bandella dei miei libri. Dalle mie parti in Sicilia si dice: Unni mi chiovi mi sciddica, “dove mi piove mi scivola"». Perché tra le tante cose, ha fatto anche un reality? Cercava ancora visibilità? «Ho partecipato per sperimentare e togliermi di dosso la patina drammatica. Poi, certo, per i soldi. All’Isola dei famosi ho vissuto un’esperienza deprivante, ero tornata depressa, non mi sentivo a mio agio nel mio corpo. Ho fatto una cosa trashissima, invece mi ha drammatizzato. L’Isola ti dà la visibilità se sei una gnocca, non era il mio caso». Aldo Busi è arrivato all’Isola in un’altra fase della vita, non crede? «Sono consapevole degli errori, non mi salvo dagli sbagli che ho fatto». Torniamo a Melissa P. che oggi si riappropria del cognome. «Sa cosa sono le “costellazioni familiari”? Sono incontri in cui metti in scena le dinamiche della tua famiglia. Io ho un problema col materno. Con le persone che rappresentavano me e mia madre, la figlia si avvicinava e la madre si allontanava. Mia madre a volte si è avvicinata, ma non a Melissa, alla percezione che ha di me. Se lo fa uno sconosciuto ok, se lo fa tua madre ti rode. Sono andata via da Catania a diciassette anni. I miei non erano cattivi, ma non mi sentivo a casa. Sono diventata la mia casa». Parlava di percezione, in effetti dava l’idea di essere una Lolita arrogante... «È stato difficile farmi conoscere e lo è ancora. Se parti in maniera forte e dando un’immagine di te definitiva, è ovvio che alla gente resti questa idea. A diciassette anni sei in un modo, a ventitré diventi un’altra persona. L’idea più bieca che circolava all’inizio è che fossi una poco di buono pronta a andare in giro in perizoma. Io non sono Melissa P. Oltre la P. c’è altro. Per questo ho fatto cose diverse, per dimostrare che sapevo farle». Aveva puntato sulla scrittura: Melissa astrologa come nasce? «Guardi che è una forma di racconto anche l’astrologia, non la vedo così slegata dalla letteratura. La studio da undici anni. Non sono Maga Magò nell’antro». Andando oltre l’apparenza, agli inizi si è costruita un personaggio. Oggi avrebbe il coraggio di ammettere che è anche fragile? «Non avrei problemi a definirmi così, ma sono cresciuta da sola e anche se lo fossi stata mi sono indurita. Vendi la casa, gestisci il primo libro, l’avvocato, il film. Quant’era brutto il film da 100 colpi di spazzola, sì l’aveva diretto Luca Guadagnino, ma non è il Guadagnino di adesso. Scherzando, dico che sono Mowgli, la ragazza della giungla. Con le spalle più coperte forse avrei fatto scelte meno avventate. Dopo dieci anni di analisi oggi sto bene con me stessa. Tanto anche se non conosco qualcosa di me, me la fanno vedere gli altri».