La Stampa, 11 aprile 2019
La verità su Jack lo Squartatore
Migliaia di libri sono stati scritti per scoprire l’identità di Jack lo Squartatore, ma ci sono voluti 130 anni per leggerne uno dedicato alle sue vittime. Grazie alla storica britannica Hallie Rubenholf è finalmente caduta la patina di misoginia che ha finora accompagnato gli sbrigativi ritratti delle cinque donne assassinate e orrendamente mutilate a Whitechapel e Spitalfields nell’autunno del 1888.
Mary Ann Nichols, Annie Chapman, Elizabeth Stride, Catherine Eddowes e Mary Jane Kelly non erano prostitute, come tutti ancora credono. Non adescavano gli uomini per strada, non «se l’erano voluta» com’era rassicurante pensare e far credere, ieri come oggi. Scrivere «The Five» non è stato facile per Rubenholf, perché ogni traccia delle vittime era molto labile. La storica ha dovuto cercare a lungo tra registri parrocchiali, certificati di matrimonio, articoli di giornale e rapporti di polizia: ogni tassello rivelava quanto quelle donne, accomunate da una morte infernale, avessero avuto anche una vita infernale che le aveva spinte ai margini proprio perché erano donne.
Mary Nichols aveva passato l’infanzia a Dawes Court, la stessa strada nella quale il Fagin di Dickens insegnava a rubare a Oliver Twist e alla sua banda di ragazzini. Con il marito William si era poi trasferita a Lambeth, in un appartamento migliore perché aveva il lavandino. Mary era però andata via di casa quando aveva scoperto l’interesse di William per la vedova che abitava di fronte e in poco tempo era finita in un ricovero per senzatetto. Otto anni dopo, il poliziotto che indagava sul delitto continuava a domandare alla sua vicina di letto: «Lei pensa che le abitudini della sua amica fossero pulite?».
In ogni momento dell’inchiesta la polizia ha cercato di accreditare una sola immagine: le vittime erano «bad characters», pessime individue che avevano avvicinato lo Squartatore credendo di ricavarci qualcosa. Ma non era così. Jack forse le sceglieva perché erano sole, affamate e disperate, e nessuno avrebbe sentito la loro mancanza. Anne Chapman aveva sposato il cocchiere di un gentiluomo e viveva nella sua tenuta, prima di diventare, non sappiamo perché, schiava dell’alcol. Elizabeth Stride era svedese, aveva lavorato come domestica e sposato un falegname. Aveva anche aperto un caffè, ma era malata di sifilide ed era finita senza soldi sulla strada.
Catherine Eddowes è morta la stessa notte di Elizabeth. Aveva sposato un giramondo, Thomas Conway, e insieme viaggiavano vendendo «chapbooks», libricini usa e getta di poesie. Aveva imparato a leggere e scrivere e annotava sulla carta quello che Conway le dettava. Al suo funerale parteciparono 500 persone. Mary Jane Kelly, a 25 anni, è stata la più giovane e l’ultima vittima di Jack. Veniva da una buona famiglia di Cardiff, ma era finita probabilmente in mani sbagliate e da queste al «Ten Bells», un pub che ancora esiste all’84 di Commercial Street, dove si dice abbia bevuto il suo ultimo bicchiere.
La regina Vittoria si interessò molto alle indagini su Jack lo Squartatore, forse anche perché due persone a lei molto vicine, il nipote principe Albert Victor, e il suo chirurgo personale, John Williams, sono state in seguito sospettate di essere il misterioso killer. Ma nei messaggi che inviava al primo ministro Lord Salisbury anche lei manifestava pietà per quelle sfortunate donne «di classe cattiva». Se non fossero state donne, scrive Rubenholf, il loro destino sarebbe stato diverso. Avrebbero potuto superare la fine di un matrimonio o la rottura dei legami famigliari, o rimediare a un errore commesso ritrovando un posto nella società. Un libro, ha commentato il «Guardian», non su di loro, ma finalmente per loro.