Il Sole 24 Ore, 11 aprile 2019
L’arbitro? Un Co.co.co da 200mila euro annui
Qualche settimana fa, il presidente dell’Aia, l’associazione degli arbitri italiani, Marcello Nicchi ha accennato alla possibilità di adottare un “reddito di cittadinanza” per i direttori di gara, molti dei quali, pur essendo dilettanti, sono costretti a lasciare il lavoro. «Così quando finisce l’attività – ha spiegato Nicchi – si ritrovano senza nulla, ad una età avanzata. Non escludiamo di creare un fondo di solidarietà della durata di uno-due anni, per dare agli arbitri la possibilità in questo lasso di tempo di ricrearsi una vita, un lavoro».
Martedì scorso, lo stesso Nicchi in audizione alla Commissione Cultura della Camera, che sta esaminando il disegno di legge collegato alla Finanziaria in materia di ordinamento e professioni sportive, ha avanzato la richiesta di riconoscere l’attività arbitrale come rapporto di lavoro sportivo.
La carriera di un arbitro dura – per limiti d’età – fino a 45 anni a livello nazionale e fino a 37 anni a livello internazionale. Per ogni stagione vengono selezionati dall’Aia una ventina di “fischietti” per la Serie A (con un paio di debuttanti) che operano nella veste di liberi professionisti con partita Iva: dei co.co.co sportivi sostanzialmente, a cui spetta un compenso fisso (giuridicamente qualificato come “diritto di immagine”) e una diaria legata all’impegno settimanale. In sintesi, un arbitro di prima fascia, un “internazionale” (sono una decina), può percepire compensi ordinari per circa 200mila euro lordi. Un arbitro al primo anno può contare invece su introiti per 120mila euro (circa 70mila netti). Per quanto riguarda il torneo di Serie A, la parte fissa infatti va dai 30mila euro riconosciuti ai cosiddetti “neo –immessi” ai 90mila euro assegnati ai più esperti ovvero gli Internazionali. Ci sono poi varie fasce intermedie che dipendono dal numero di gare dirette e dall’anzianità di servizio.
La diaria per una partita di Serie A invece è pari a 3800 euro lordi. Mediamente ogni arbitro scende in campo per 15/16 partite di campionato a stagione. Fanno circa 60mila euro. Gli arbitri che non vengono impiegati per dirigere i match sono dirottati sul servizio Var (Video Assistant Referee), sperimentato nella Penisola dallo scorso campionato.
In Serie A la diaria per chi è chiamato a valutare i replay e suggerire al fischietto in campo eventuali errori “chiari ed evidenti” è pari a 1.500 euro a partita (750 per chi svolge il ruolo di assistente al Var). Ogni arbitro svolge il servizio di Var per altri 15/16 match per un compenso medio che quindi si aggira sui 25mila euro. Ci sono inoltre gli impegni in Coppa Italia. Qui si va dai mille euro riconosciuti agli arbitri “titolari” nei primi turni ai 1.500 per i quarti di finale, fino ai 2.500 per le semifinali e ai 3.800 per la finale (stesso importo per la Supercoppa italiana).
Si può arrivare perciò a 180mila euro per l’attività nazionale. Per quanto riguarda l’attività internazionale, esiste un tariffario per le partite di Champions (per cui si fattura fino a 5mila euro), per l’Europa League e le Nazionali. Un fischietto di prima fascia può dirigere una decina di match. La media è di 4-5 partite con un compenso intorno ai 20mila euro. Per i numeri uno della categoria selezionati per i Mondiali c’è poi un assegno ulteriore di 50mila dollari corrisposto per i raduni e la rassegna.
Molto meno guadagnano gli assistenti – i guardalinee – la cui carriera è separata da quella degli arbitri. In Serie A prendono 1000 euro a match (mentre il quarto uomo si ferma a 500 euro). Il fisso per gli assistenti va dagli 8mila dei neopromossi ai 24mila degli internazionali.
C’è da dire che la crescita globale del football sta anche aprendo nuovi mercati per gli arbitri. Così accade sempre più spesso di vedere le ex giacchette nere emigrare in campionati non europei in cambio di ricchi ingaggi. L’inglese Mark Clattenburg, dopo aver lasciato nel febbraio 2017 la Premier League per ricoprire il ruolo di coordinatore degli arbitri nella Saudi Professional League, si è trasferito in Cina dove percepirebbe una retribuzione di 500mila dollari. Stessa destinazione e compenso analogo per il serbo Milorad Mazic, arbitro nell’ultima finale di Champions. La Chinese Football Association per migliorare la qualità dei propri arbitri ha deciso di creare una task force di fischietti professionisti. Il prossimo acquisto potrebbe essere un pezzo da novanta del settore come Nicola Rizzoli che attualmente come designatore degli arbitri italiani guadagna 200mila euro. Per strapparlo alla Serie A dalla Cina pare siano disposti a sborsare un milione di dollari.
Il costo per la Figc del sistema arbitrale nel 2017 è stato pari a 44 milioni. Questa somma serve a coprire i rimborsi spese per tutti i campionati professionistici o dilettantistici. Parliamo di oltre 433mila partite ufficiali gestite da direttori di gara designati. I costi complessivi, inclusi raduni e preparazione tecnica, per la Serie A sono di circa 9 milioni all’anno pagate dalla Lega alla Figc.
Gli arbitri tesserati in Italia sono 32mila (di cui 1600 sono donne). Al vertice della categoria giunge lo 0,1%. Una selezione durissima, scandita da enormi sacrifici personali e professionali. Anche chi arriva in Serie A guadagna in fondo quanto un panchinaro e con una durata media della carriera più breve.