Libero, 9 aprile 2019
Intervista a Pierpaolo Marino
Pierpaolo Marino, dirigente sportivo, è nato ad Avellino.
Pierpaolo Marino, 64 anni, è uno dei dirigenti più esperti e apprezzati del calcio italiano. Nel corso della sua lunga carriera – quasi quarantennale – ha portato diverse squadre ai vertici del campionato (primo scudetto della storia del Napoli 1986-1987, terzo posto storico dell’Udinese nella stagione 1997-1998) – scrivendo record che non sono stati mai più replicati. Ma è con l’Atalanta, di cui è stato direttore generale dal 2011 al 2015, che è legato da un filo sottile: «Mi sento sempre con il presidente Antonio Percassi e con suo figlio Luca oltre che con Umberto Marino. Non ho più pensato di tornare perché ho ricevuto e dato tanto negli anni all’Atalanta – nel 2011-2012 record di punti e 12° posto con una penalizzazione di -6 – e quando incontro i tifosi mi testimoniano ancora il loro affetto. All’epoca abbiamo posto le basi ai successi degli ultimi 3 anni di Gasperini e auguro il meglio alla società orobica, di cui sono tifoso» Non molto tempo fa aveva pronosticato la scalata dell’Atalanta fino alla zona Champions. «Sì, a gennaio avevo già dato i bergamaschi favoriti nella corsa al quarto posto. Sono la squadra più in forma. Mantengono la stessa intensità per 90 minuti, hanno una condizione atletica pazzesca. Devo fare i miei complimenti allo staff di Gasp e a Bruzzone che fa la prevenzione infortuni. L’Atalanta rispetto a squadre come Milan, Roma, Lazio e alla stessa Juve ha avuto pochissimi infortunati». La squadra di Gasperini potrà mantenersi su questi livelli ancora a lungo? «L’Atalanta farà un ciclo di una decina di anni, non è una meteora. Tutto merito del progetto del nuovo stadio che darà una dimensione ancora maggiore alla società, del settore giovanile coltivato con grande passione e del settore scouting che lavora benissimo». Non le sembra un déjà-vu? Lei in passato ha avuto modo di portare una “piccola” ai vertici... «Sì, in effetti ci ho pensato tanto. È strano che non se ne sia ancora parlato, ma il modello dell’Atalanta di Gasperini è quello che io portai a Udine nel 1996. In 8 anni raggiunsi 6 qualificazioni europee, di cui una storica con un terzo posto (1997-1998). Fu una stagione pazzesca, ma purtroppo allora andavano in Champions solo le prime due». Sono tante le somiglianze tra quell’Udinese e questa Atalanta. Per esempio, la difesa a tre. «Zaccheroni l’aveva brevettato già l’anno prima in un Juventus-Udinese in cui vincemmo 3-0 (13 aprile 1997). In quell’occasione fummo costretti a mettere in campo una difesa a tre dopo l’espulsione di un giocatore. Calori, Perini e Bertotto rimasero titolari. Zaccheroni fu il primo a utilizzarla in Italia e con la stessa tattica vinse il campionato col Milan (1998-1999). Ora Gasp ne ha preso il testimone e sta avendo successo anche grazie all’assetto difensivo». Senza parlare dell’attacco... «Il tridente Zapata, Ilicic e Gomez mi ricorda molto quello che avevamo noi all’epoca, formato da Amoroso, Bierhoff, Poggi. Nella stagione del terzo posto (64 punti) segnammo 62 reti e 42 furono realizzate proprio dai 3 attaccanti. Poggi fece 10 gol, Amoroso 5 ma dispensò giocate di altissimo livelllo e Biehroff, con 27 centri, vinse la classifica capocannonieri. Chissà che non possa accadere anche a Zapata. In ogni caso spero che l’Atalanta non venga condizionata come noi dagli errori arbitrali...» A cosa si riferisce? «Quell’anno sulle reti “Mediaset” venne messo in onda un servizio chiamato “Lo Scudetto degli onesti”, dove venne elaborata una classifica che dimostrò che senza errori arbitrali a sfavore, l’Udinese sarebbe arrivata prima. Rimanemmo molto scottati da quella vicenda tant’è che assieme alla famiglia Pozzo decidemmo di realizzare un dossier su come migliorare le situazioni di “gol non gol” grazie a telecamere intelligenti (con il contributo del Cnr di Bari). La Figc accolse il nostro dossier, grazie a Ghirelli, allora direttore generale, e venne presentato alla Fifa e alla Uefa, ma rimase in stand-by e non se ne fece più nulla. Solo dopo tanti anni le due organizzazzioni sono arrivate alla messa appunto del Var e alla sua applicazione, attraverso loro appalti di tecnologie. Ma è il nostro progetto quello da cui è partito tutto».