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 2019  aprile 10 Mercoledì calendario

La Wunderkammer di Sanguineti
 nella Torino che l’aveva rigettato


Sulle meccaniche del «Gran rifiuto» oppostogli all’Università di Torino, dove si era laureato allievo promettentissimo di Giovanni Getto, Edoardo Sanguineti preferiva sorvolare: eppure fu quello un momento decisivo, di rottura anche politica, nel fuoco dell’imminente ’68 che probabilmente non gli cambiò il percorso intellettuale, ma certo lo rafforzò. Sanguineti fu molte cose insieme: lo studioso di Dante e del Novecento, del Barocco, dei futuristi, di Gozzano e Montale, lo scrittore della cosiddetta neoavanguardia (il Gruppo ’63, con Eco, Manganelli, Guglielmi), il marxista «scientifico» accusato talvolta di dogmatismo, talvolta di elitarismo; l’appassionato di cinema, il politico (deputato comunista tra il ’79 e l’83, fece solo 5 interventi), insomma uno dei «maestri» ancor oggi discussi, come è giusto che accada, del secondo Novecento.
C’è però anche altro nella sua opera e nella sua vita (nacque a Genova nel ’30 e vi morì nel 2010), ed è ciò che forse tiene insieme il tutto multiforme del personaggio. Sanguineti fu infatti un grande, instancabile «collezionista di parole», lessicografo al limite dell’ossessione le cui notti trascorrevano scrivendo migliaia di schede, dattilografandole ordinatamente, per il Dizionario Utet e soprattutto per sé stesso. Tra poco sarà tutto disponibile in rete, nell’ambizioso progetto dell’Università di Torino che si chiama, termine carissimo e anzi emblematico per Sanguineti, «Wunderkammer», camera delle meraviglie: ovvero, come annotò in una scheda che suona come uno dei tanti autoritratti possibili, quella dove «veniva conservato ed esaltato tutto ciò che era peregrino, abnorme, irregolare». Il sito con questo nome c’è già, ma non è ancora navigabile per quanto riguarda il materiale d’archivio confluito a Torino. Domani e venerdì verrà illustrato in un convegno, «Il “giuoco” del labirinto, due anni dentro la Wunderkammer», all’auditorium Guido Quazza di Palazzo Nuovo.
A Genova la Biblioteca Nazionale conserva tutti i suoi libri, qui invece c’è l’immane archivio dei ritagli di giornale dove effettuava gli «spogli» lessicali, quello altrettanto impressionate delle schede, e poi filmati e interviste. Nella Wunderkammer c’è anche la sua tesi di laurea, Interpretazioni di Malebolge, che divenne sì un saggio famoso – ma molto diverso dalla prima stesura – e che si riteneva perduta. Si è scoperto invece che era stata registrata distrattamente, come ci racconta la professoressa Clara Allasia, responsabile del progetto, come opera dello studente «I. Malebolge». Lo spirito acre di Sanguineti avrebbe trovato modo, se lo avesse saputo, di imbastire intorno a questo refuso esilaranti codicilli. 
Tra i relatori al convegno Paola Novaria, responsabile dell’archivio storico dell’Università, ha esplorato i verbali dei consigli accademici sulla rottura clamorosa con Torino. Sanguineti aveva un incarico d’un anno, dopo essere stato assistente volontario di Getto, che non gli venne rinnovato. Frequentava gli artisti, aveva già esordito come poeta, pubblicando Laborintus, libro considerato da taluni incomprensibile, da altri scandaloso, dai più giovani una meraviglia. Ma i versi in sé erano un costume antico e non certo estraneo all’Università. Che cosa accadde allora veramente, dato che sulla sua figura di studioso non erano possibili dubbi?
Il mistero ora è risolto: il mondo accademico gli si rivoltò contro per le «troppe» attività pubbliche, per comportamenti ritenuti non abbastanza severi e «dignitosi». Il ’68 era alle porte, ma Sanguineti ebbe un «processo» – senza la presenza dell’imputato – da Ancien Régime. Tra i giudici il futuro cardinale Michele Pellegrino, che lo stimava ma lo credeva anche uomo di fede. Quando scoprì che si trattava invece di ateo comunista, si sentì ingannato e s’infuriò. Sanguineti ne parlò molti anni dopo con Antonio Gnoli (in Sanguineti’s Song. Conversazioni immorali, Feltrinelli): il dotto biblista, spiegò, gli aveva chiesto una volta se avesse problemi religiosi; lui rispose che no, non ne aveva affatto. Quando Pellegrino ne scoprì il motivo, si sentì preso in giro.
La porta venne chiusa per sempre. Il cattolico Getto si defilò, impegnandosi però nel trovare una via d’uscita, cioè procurargli un incarico a Salerno. Dalla Campania, Sanguineti tornò all’Università di Genova, dove restò fino alla fine. Erano tempi non privi di durezze, da una parte e dall’altra, se pensiamo che per ragioni opposte (l’accusa di essere un emblema della reazione) il povero Getto di lì a poco avrebbe tentato il suicidio, travolto dalla contestazione studentesca. E l’Einaudi, che stava pubblicando il suo capolavoro, Barocco in prosa e in poesia, gli chiese nel ‘69 di rinunciare al contratto firmato due anni prima, pur pagandogli egualmente l’anticipo: 200 mila lire
BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Sulle meccaniche del «Gran rifiuto» oppostogli all’Università di Torino, dove si era laureato allievo promettentissimo di Giovanni Getto, Edoardo Sanguineti preferiva sorvolare: eppure fu quello un momento decisivo, di rottura anche politica, nel fuoco dell’imminente ’68 che probabilmente non gli cambiò il percorso intellettuale, ma certo lo rafforzò. Sanguineti fu molte cose insieme: lo studioso di Dante e del Novecento, del Barocco, dei futuristi, di Gozzano e Montale, lo scrittore della cosiddetta neoavanguardia (il Gruppo ’63, con Eco, Manganelli, Guglielmi), il marxista «scientifico» accusato talvolta di dogmatismo, talvolta di elitarismo; l’appassionato di cinema, il politico (deputato comunista tra il ’79 e l’83, fece solo 5 interventi), insomma uno dei «maestri» ancor oggi discussi, come è giusto che accada, del secondo Novecento.
C’è però anche altro nella sua opera e nella sua vita (nacque a Genova nel ’30 e vi morì nel 2010), ed è ciò che forse tiene insieme il tutto multiforme del personaggio. Sanguineti fu infatti un grande, instancabile «collezionista di parole», lessicografo al limite dell’ossessione le cui notti trascorrevano scrivendo migliaia di schede, dattilografandole ordinatamente, per il Dizionario Utet e soprattutto per sé stesso. Tra poco sarà tutto disponibile in rete, nell’ambizioso progetto dell’Università di Torino che si chiama, termine carissimo e anzi emblematico per Sanguineti, «Wunderkammer», camera delle meraviglie: ovvero, come annotò in una scheda che suona come uno dei tanti autoritratti possibili, quella dove «veniva conservato ed esaltato tutto ciò che era peregrino, abnorme, irregolare». Il sito con questo nome c’è già, ma non è ancora navigabile per quanto riguarda il materiale d’archivio confluito a Torino. Domani e venerdì verrà illustrato in un convegno, «Il “giuoco” del labirinto, due anni dentro la Wunderkammer», all’auditorium Guido Quazza di Palazzo Nuovo.
A Genova la Biblioteca Nazionale conserva tutti i suoi libri, qui invece c’è l’immane archivio dei ritagli di giornale dove effettuava gli «spogli» lessicali, quello altrettanto impressionate delle schede, e poi filmati e interviste. Nella Wunderkammer c’è anche la sua tesi di laurea, Interpretazioni di Malebolge, che divenne sì un saggio famoso – ma molto diverso dalla prima stesura – e che si riteneva perduta. Si è scoperto invece che era stata registrata distrattamente, come ci racconta la professoressa Clara Allasia, responsabile del progetto, come opera dello studente «I. Malebolge». Lo spirito acre di Sanguineti avrebbe trovato modo, se lo avesse saputo, di imbastire intorno a questo refuso esilaranti codicilli. 
Tra i relatori al convegno Paola Novaria, responsabile dell’archivio storico dell’Università, ha esplorato i verbali dei consigli accademici sulla rottura clamorosa con Torino. Sanguineti aveva un incarico d’un anno, dopo essere stato assistente volontario di Getto, che non gli venne rinnovato. Frequentava gli artisti, aveva già esordito come poeta, pubblicando Laborintus, libro considerato da taluni incomprensibile, da altri scandaloso, dai più giovani una meraviglia. Ma i versi in sé erano un costume antico e non certo estraneo all’Università. Che cosa accadde allora veramente, dato che sulla sua figura di studioso non erano possibili dubbi?
Il mistero ora è risolto: il mondo accademico gli si rivoltò contro per le «troppe» attività pubbliche, per comportamenti ritenuti non abbastanza severi e «dignitosi». Il ’68 era alle porte, ma Sanguineti ebbe un «processo» – senza la presenza dell’imputato – da Ancien Régime. Tra i giudici il futuro cardinale Michele Pellegrino, che lo stimava ma lo credeva anche uomo di fede. Quando scoprì che si trattava invece di ateo comunista, si sentì ingannato e s’infuriò. Sanguineti ne parlò molti anni dopo con Antonio Gnoli (in Sanguineti’s Song. Conversazioni immorali, Feltrinelli): il dotto biblista, spiegò, gli aveva chiesto una volta se avesse problemi religiosi; lui rispose che no, non ne aveva affatto. Quando Pellegrino ne scoprì il motivo, si sentì preso in giro.
La porta venne chiusa per sempre. Il cattolico Getto si defilò, impegnandosi però nel trovare una via d’uscita, cioè procurargli un incarico a Salerno. Dalla Campania, Sanguineti tornò all’Università di Genova, dove restò fino alla fine. Erano tempi non privi di durezze, da una parte e dall’altra, se pensiamo che per ragioni opposte (l’accusa di essere un emblema della reazione) il povero Getto di lì a poco avrebbe tentato il suicidio, travolto dalla contestazione studentesca. E l’Einaudi, che stava pubblicando il suo capolavoro, Barocco in prosa e in poesia, gli chiese nel ‘69 di rinunciare al contratto firmato due anni prima, pur pagandogli egualmente l’anticipo: 200 mila lire
BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

La Wunderkammer di Sanguineti
nella Torino che l’aveva rigettato
Mario Baudino
Sulle meccaniche del «Gran rifiuto» oppostogli all’Università di Torino, dove si era laureato allievo promettentissimo di Giovanni Getto, Edoardo Sanguineti preferiva sorvolare: eppure fu quello un momento decisivo, di rottura anche politica, nel fuoco dell’imminente ’68 che probabilmente non gli cambiò il percorso intellettuale, ma certo lo rafforzò. Sanguineti fu molte cose insieme: lo studioso di Dante e del Novecento, del Barocco, dei futuristi, di Gozzano e Montale, lo scrittore della cosiddetta neoavanguardia (il Gruppo ’63, con Eco, Manganelli, Guglielmi), il marxista «scientifico» accusato talvolta di dogmatismo, talvolta di elitarismo; l’appassionato di cinema, il politico (deputato comunista tra il ’79 e l’83, fece solo 5 interventi), insomma uno dei «maestri» ancor oggi discussi, come è giusto che accada, del secondo Novecento.
C’è però anche altro nella sua opera e nella sua vita (nacque a Genova nel ’30 e vi morì nel 2010), ed è ciò che forse tiene insieme il tutto multiforme del personaggio. Sanguineti fu infatti un grande, instancabile «collezionista di parole», lessicografo al limite dell’ossessione le cui notti trascorrevano scrivendo migliaia di schede, dattilografandole ordinatamente, per il Dizionario Utet e soprattutto per sé stesso. Tra poco sarà tutto disponibile in rete, nell’ambizioso progetto dell’Università di Torino che si chiama, termine carissimo e anzi emblematico per Sanguineti, «Wunderkammer», camera delle meraviglie: ovvero, come annotò in una scheda che suona come uno dei tanti autoritratti possibili, quella dove «veniva conservato ed esaltato tutto ciò che era peregrino, abnorme, irregolare». Il sito con questo nome c’è già, ma non è ancora navigabile per quanto riguarda il materiale d’archivio confluito a Torino. Domani e venerdì verrà illustrato in un convegno, «Il “giuoco” del labirinto, due anni dentro la Wunderkammer», all’auditorium Guido Quazza di Palazzo Nuovo.
A Genova la Biblioteca Nazionale conserva tutti i suoi libri, qui invece c’è l’immane archivio dei ritagli di giornale dove effettuava gli «spogli» lessicali, quello altrettanto impressionate delle schede, e poi filmati e interviste. Nella Wunderkammer c’è anche la sua tesi di laurea, Interpretazioni di Malebolge, che divenne sì un saggio famoso – ma molto diverso dalla prima stesura – e che si riteneva perduta. Si è scoperto invece che era stata registrata distrattamente, come ci racconta la professoressa Clara Allasia, responsabile del progetto, come opera dello studente «I. Malebolge». Lo spirito acre di Sanguineti avrebbe trovato modo, se lo avesse saputo, di imbastire intorno a questo refuso esilaranti codicilli. 
Tra i relatori al convegno Paola Novaria, responsabile dell’archivio storico dell’Università, ha esplorato i verbali dei consigli accademici sulla rottura clamorosa con Torino. Sanguineti aveva un incarico d’un anno, dopo essere stato assistente volontario di Getto, che non gli venne rinnovato. Frequentava gli artisti, aveva già esordito come poeta, pubblicando Laborintus, libro considerato da taluni incomprensibile, da altri scandaloso, dai più giovani una meraviglia. Ma i versi in sé erano un costume antico e non certo estraneo all’Università. Che cosa accadde allora veramente, dato che sulla sua figura di studioso non erano possibili dubbi?
Il mistero ora è risolto: il mondo accademico gli si rivoltò contro per le «troppe» attività pubbliche, per comportamenti ritenuti non abbastanza severi e «dignitosi». Il ’68 era alle porte, ma Sanguineti ebbe un «processo» – senza la presenza dell’imputato – da Ancien Régime. Tra i giudici il futuro cardinale Michele Pellegrino, che lo stimava ma lo credeva anche uomo di fede. Quando scoprì che si trattava invece di ateo comunista, si sentì ingannato e s’infuriò. Sanguineti ne parlò molti anni dopo con Antonio Gnoli (in Sanguineti’s Song. Conversazioni immorali, Feltrinelli): il dotto biblista, spiegò, gli aveva chiesto una volta se avesse problemi religiosi; lui rispose che no, non ne aveva affatto. Quando Pellegrino ne scoprì il motivo, si sentì preso in giro.
La porta venne chiusa per sempre. Il cattolico Getto si defilò, impegnandosi però nel trovare una via d’uscita, cioè procurargli un incarico a Salerno. Dalla Campania, Sanguineti tornò all’Università di Genova, dove restò fino alla fine. Erano tempi non privi di durezze, da una parte e dall’altra, se pensiamo che per ragioni opposte (l’accusa di essere un emblema della reazione) il povero Getto di lì a poco avrebbe tentato il suicidio, travolto dalla contestazione studentesca. E l’Einaudi, che stava pubblicando il suo capolavoro, Barocco in prosa e in poesia, gli chiese nel ‘69 di rinunciare al contratto firmato due anni prima, pur pagandogli egualmente l’anticipo: 200 mila lire
BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Sulle meccaniche del «Gran rifiuto» oppostogli all’Università di Torino, dove si era laureato allievo promettentissimo di Giovanni Getto, Edoardo Sanguineti preferiva sorvolare: eppure fu quello un momento decisivo, di rottura anche politica, nel fuoco dell’imminente ’68 che probabilmente non gli cambiò il percorso intellettuale, ma certo lo rafforzò. Sanguineti fu molte cose insieme: lo studioso di Dante e del Novecento, del Barocco, dei futuristi, di Gozzano e Montale, lo scrittore della cosiddetta neoavanguardia (il Gruppo ’63, con Eco, Manganelli, Guglielmi), il marxista «scientifico» accusato talvolta di dogmatismo, talvolta di elitarismo; l’appassionato di cinema, il politico (deputato comunista tra il ’79 e l’83, fece solo 5 interventi), insomma uno dei «maestri» ancor oggi discussi, come è giusto che accada, del secondo Novecento.
C’è però anche altro nella sua opera e nella sua vita (nacque a Genova nel ’30 e vi morì nel 2010), ed è ciò che forse tiene insieme il tutto multiforme del personaggio. Sanguineti fu infatti un grande, instancabile «collezionista di parole», lessicografo al limite dell’ossessione le cui notti trascorrevano scrivendo migliaia di schede, dattilografandole ordinatamente, per il Dizionario Utet e soprattutto per sé stesso. Tra poco sarà tutto disponibile in rete, nell’ambizioso progetto dell’Università di Torino che si chiama, termine carissimo e anzi emblematico per Sanguineti, «Wunderkammer», camera delle meraviglie: ovvero, come annotò in una scheda che suona come uno dei tanti autoritratti possibili, quella dove «veniva conservato ed esaltato tutto ciò che era peregrino, abnorme, irregolare». Il sito con questo nome c’è già, ma non è ancora navigabile per quanto riguarda il materiale d’archivio confluito a Torino. Domani e venerdì verrà illustrato in un convegno, «Il “giuoco” del labirinto, due anni dentro la Wunderkammer», all’auditorium Guido Quazza di Palazzo Nuovo.
A Genova la Biblioteca Nazionale conserva tutti i suoi libri, qui invece c’è l’immane archivio dei ritagli di giornale dove effettuava gli «spogli» lessicali, quello altrettanto impressionate delle schede, e poi filmati e interviste. Nella Wunderkammer c’è anche la sua tesi di laurea, Interpretazioni di Malebolge, che divenne sì un saggio famoso – ma molto diverso dalla prima stesura – e che si riteneva perduta. Si è scoperto invece che era stata registrata distrattamente, come ci racconta la professoressa Clara Allasia, responsabile del progetto, come opera dello studente «I. Malebolge». Lo spirito acre di Sanguineti avrebbe trovato modo, se lo avesse saputo, di imbastire intorno a questo refuso esilaranti codicilli. 
Tra i relatori al convegno Paola Novaria, responsabile dell’archivio storico dell’Università, ha esplorato i verbali dei consigli accademici sulla rottura clamorosa con Torino. Sanguineti aveva un incarico d’un anno, dopo essere stato assistente volontario di Getto, che non gli venne rinnovato. Frequentava gli artisti, aveva già esordito come poeta, pubblicando Laborintus, libro considerato da taluni incomprensibile, da altri scandaloso, dai più giovani una meraviglia. Ma i versi in sé erano un costume antico e non certo estraneo all’Università. Che cosa accadde allora veramente, dato che sulla sua figura di studioso non erano possibili dubbi?
Il mistero ora è risolto: il mondo accademico gli si rivoltò contro per le «troppe» attività pubbliche, per comportamenti ritenuti non abbastanza severi e «dignitosi». Il ’68 era alle porte, ma Sanguineti ebbe un «processo» – senza la presenza dell’imputato – da Ancien Régime. Tra i giudici il futuro cardinale Michele Pellegrino, che lo stimava ma lo credeva anche uomo di fede. Quando scoprì che si trattava invece di ateo comunista, si sentì ingannato e s’infuriò. Sanguineti ne parlò molti anni dopo con Antonio Gnoli (in Sanguineti’s Song. Conversazioni immorali, Feltrinelli): il dotto biblista, spiegò, gli aveva chiesto una volta se avesse problemi religiosi; lui rispose che no, non ne aveva affatto. Quando Pellegrino ne scoprì il motivo, si sentì preso in giro.
La porta venne chiusa per sempre. Il cattolico Getto si defilò, impegnandosi però nel trovare una via d’uscita, cioè procurargli un incarico a Salerno. Dalla Campania, Sanguineti tornò all’Università di Genova, dove restò fino alla fine. Erano tempi non privi di durezze, da una parte e dall’altra, se pensiamo che per ragioni opposte (l’accusa di essere un emblema della reazione) il povero Getto di lì a poco avrebbe tentato il suicidio, travolto dalla contestazione studentesca. E l’Einaudi, che stava pubblicando il suo capolavoro, Barocco in prosa e in poesia, gli chiese nel ‘69 di rinunciare al contratto firmato due anni prima, pur pagandogli egualmente l’anticipo: 200 mila lire