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 2019  aprile 10 Mercoledì calendario

APPUNTI SUL REDDITO DI CITTADINANZA

AMEDEO LA MATTINE E FRANCESCA SFORZA, LA STAMPA 12/4 –

L’Italia si muove sullo scacchiere libico. Si muove con decisione per scongiurare il bagno di sangue e la vittoria militare del generale Haftar. A prendere l’iniziativa è il premier Giuseppe Conte, ma in queste ore c’è un particolare protagonismo di Matteo Salvini. Un’offensiva politica e diplomatica non soltanto nei confronti degli altri Paesi europei. 
Il vicepremier sta cercando di mettere con le spalle al muro la Francia, di neutralizzare le mosse di Emmanuel Macron che dietro le quinte starebbe sostenendo l’avanzata delle forze militari che voglio cacciare il governo Sarraj. Ma l’attivismo del ministro dell’Interno, che si muove come se fosse di fatto il ministro dell’Esteri e allo stesso tempo il presidente del Consiglio, entra direttamente nei giochi che si stanno consumando in Libia. La prima mossa del leader della Lega è quella di stringere i rapporti direttamente con Ahmed Omar Maitig, vicepresidente del Governo di accordo nazionale libico e uomo forte di Misurata. È lui il capo delle truppe che proteggono Tripoli. È Maitig l’unico che può fermare veramente Haftar. In una recente intervista alla Stampa aveva detto che quella del generale della Cirenaica «è un colpo di Stato»: «Lui vuole prendere il controllo della Libia e vuole essere a capo di un suo governo militare, vuole instaurare una giunta, una vera e propria dittatura. Si fermi o lo annienteremo».
Quando l’8 marzo scorso Maitig venne a Roma, tra i suoi vari incontri, ebbe un colloquio molto importante proprio con Salvini. Garantì al ministro dell’Interno che avrebbe fatto ogni cosa per bloccare gli arrivi degli immigrati sulle coste italiane. Una promessa che sigillò una forte intesa tra il responsabile del Viminale e l’imprenditore di Misurata (che parla benissimo l’italiano). Adesso è a lui che il capo del Carroccio affida le sue speranze di fermare Haftar e quello che Salvini ritiene essere il suo sponsor, il presidente francese Macron. Senza escludere che alla fine, se lo sfondamento militare di Tripoli dovesse fallire, alla guida del governo possa andare lo stesso Maitig al posto del debole Sarraj che al Viminale è considerato un’eredità del governo Renzi-Gentiloni. Se tutta l’operazione andasse in porto, Salvini e il governo italiano riuscirebbero nella doppia mossa: uno scacco matto a Macron e ai suoi amici della Cirenaica e allo stesso tempo la garanzia che dalla costa libica le partenze dei migranti verranno ridotte al lumicino. E questo in piena campagna elettorale per le europee dove Salvini si gioca le sue carte di leader politico europeo. 
Il capo leghista è convinto che dietro la vicenda libica non ci siano solo gli interessi economici di Parigi. «Non resto a guardare se c’é chi per affari gioca alla guerra», dice il ministro dell’Interno. Il passo in più lo fa Marco Zanni, l’eurodeputato responsabile Esteri del Carroccio, il tessitore del fronte sovranista che il suo leader lancerà per le europee del 26 maggio. Dice di avere un «dubbio» sui giochi che si stanno facendo per danneggiare l’Italia. «Io ho il dubbio legittimo che sia in corso un tentativo di destabilizzare il governo italiano magari provocando un’ondata di profughi verso l’Italia». Insomma le manovre e le ambiguità di Macron punterebbero a danneggiare non solo il governo italiano, ma in particolare la Lega e Salvini che della lotta all’immigrazione ha fatto un totem acchiappa voti. «Perché al vertice europeo di questi giorni la Francia ha impedito che la Ue prendesse una chiare e ferma posizione di condanna contro Haftar?», si chiede Zanni. 
Salvini si muove a tutto campo nella dinamica regionale della Libia. Non solo l’offensiva in Europa. Sta puntando molto sull’Egitto, attore di peso in quell’area geografica, anche perchè ha interesse a controllare il pericolo islamico. Contatti stretti anche con Fahi Bishaga, responsabile della sicurezza di Tripoli. Il tutto nell’assenza del ministro degli Esteri Moavero. Attivo anche il premier Giuseppe Conte. Lo staff diplomatico della presidenza del Consiglio tiene aperto il canale con John Bolton, il consigliere per la Sicurezza nazionale Usa per alzare il livello della pressione Usa in chiave anti-russa e per coinvolgere gli egiziani.



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GIANLUCA DI FEO, LA REPUBBLICA 11/4 –
Alle cinque del pomeriggio di lunedì scorso un piccolo aereo decolla dall’aeroporto di Ciampino. Proviene dall’hangar riservato ai servizi segreti. E prende una direzione sorprendente: punta verso la Libia. Lo scalo internazionale di Tripoli è stato bombardato poche ore prima, ma questo trireattore Falcon segue una rotta diversa: si dirige verso Bengasi, la capitale del generale Haftar, l’uomo forte che ha lanciato l’offensiva per conquistare la Tripolitania. Sullo schermo di Flightradar, il sito che permette di monitorare i voli, l’aereo scompare subito prima di arrivare alla costa, come fanno solo i velivoli impiegati nelle missioni top secret. Ed è partendo da questa traccia che Repubblica ha ricostruito la trattativa imbastita dall’Italia per cercare di fermare l’escalation di violenza in Libia.
Quel lussuoso Falcon viene utilizzato solo da Haftar e dal suo stretto entourage. Lunedì ha trasportato a Roma una delegazione di alto livello che forse comprendeva — anche se mancano conferme — il figlio del generale e suo principale consigliere. Gli emissari libici si sono incontrati con Giuseppe Conte: un summit fondamentale che si è protratto a lungo, provocando due ore di ritardo nella trasferta milanese del premier.
Nonostante la gravità della situazione, l’Italia non ha rinunciato a giocare un ruolo da protagonista nella partita libica.
Conte in prima persona tiene contatti fisici e telefonici con i capi di governo interessati al futuro di Tripoli. A Palazzo Chigi c’è la consapevolezza che senza un accordo in tempi rapidissimi tutto potrebbe degenerare, trasformando la capitale libica in un gigantesco campo di battaglia.
Per questo la nostra intelligence si sta muovendo senza sosta in tutte le capitali. All’Aise il dossier è in mano al generale Giovanni Caravelli, lo stesso ufficiale che da 5 anni guida le operazioni libiche.
Da dicembre il nuovo direttore del servizio segreto Luciano Carta gli ha delegato le iniziative sul campo, dove conosce ogni dignitario e ogni capo milizia. Il generale Carta invece sta intervenendo personalmente nei rapporti con i leader del Golfo.
Un’attività serrata per ottenere una tregua.
L’Italia resta ferma nel sostegno al presidente Serraj, l’unica autorità riconosciuta dalle Nazioni Unite.
Anche dopo i colloqui romani con la delegazione di Haftar, l’ambasciatore Buccino ha informato Serraj. Ma il governo di Roma cerca di sfruttare una condizione unica: veniamo considerati super partes e questo ci permette di dialogare con chiunque. Lo sforzo maggiore adesso è concentrato sui "burattinai" arabi dello scontro: Egitto, Arabia Sauditi ed Emirati sono dalla parte di Bengasi mentre al fianco di Tripoli c’è soprattutto il Qatar. Attualmente, più che le potenze occidentali, sono questi Paesi a decidere il destino della Libia. Trasformandola nel terreno per misurare i loro rapporti di forza: da tempo sauditi ed emiratini hanno rotto ogni rapporto con il Qatar. Grazie ai loro mezzi e ai loro finanziamenti, il generale Haftar la scorsa settimana ha lanciato "l’attacco finale" contro Tripoli, sicuro di non incontrare resistenza. A quel punto il Qatar avrebbe deciso di investire tutta la sua potenza economica, convincendo le brigate di Misurata a schierarsi con Serraj: sono i combattenti più agguerriti, che hanno spazzato via lo Stato islamico dalla Libia.
Questa manovra ha frenato la marcia verso il centro di Tripoli e sul fronte ora c’è un sostanziale stallo. Che mette il generale davanti a un bivio. Riconoscere il fallimento del suo blitz. Oppure scatenare l’inferno contro la città con bombardieri e cannoni per aprirsi la strada. Un’opzione che causerebbe centinaia di vittime civili. E che, stando alle notizie di ieri sera, sembra quella scelta da Haftar. Ma dal premier Conte è stato consegnato un messaggio chiaro: se si scatena la guerra totale, ci sarà una condanna durissima del governo italiano in tutte le sedi. Questo obbligherebbe la comunità internazionale a prendere posizione. Washington non potrebbe più rimanere alla finestra, come ha fatto in questi giorni. E anche Parigi sarebbe costretta a inasprire la linea accomodante verso il Signore della Cirenaica, suo partner consolidato.
Sull’altro piatto della bilancia, Roma ha messo la disponibilità a gestire la ripresa dei colloqui di pace sotto l’egida delle Nazioni Unite. Garantendo ascolto alle richieste di Haftar, offrendo la mediazione con il Qatar — dove Conte è stato in visita una settimana fa — e con le milizie che si sono opposte al generale. Una proposta che si cerca di consolidare attraverso i contatti continui con le autorità emiratine, saudite ed egiziane.
È indubbio che il governo di Roma stia pagando un prezzo per le incertezze in politica estera degli ultimi mesi. Il premier Conte però cerca velocemente di recuperare credibilità e rimettere l’Italia al centro dello scacchiere. Un percorso difficile, perché troppi soffiano sui venti di guerra. Ma anche l’unica strada concreta per impedire che a Tripoli si combatta casa per casa.



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STEFANO FELTRI, IL FATTO QUOTIDIANO 10/4 –
Da giorni circolano analisi sul fatto che il reddito di cittadinanza non avrà poi un grande impatto elettorale sui voti ai Cinque Stelle perché si è rivelato “un flop” (Il Messaggero di ieri). Ma queste analisi si fondano su un equivoco: secondo i dati dell’Inps e del ministero del Lavoro, finora sono state presentate 806.878 domande. Ma poiché ogni domanda riguarda un nucleo familiare, il numero di potenziali beneficiari è molto più alto.
Secondo le stime della relazione tecnica alla legge istitutiva, il numero medio di componenti delle famiglie titolate ad avere il reddito di cittadinanza è 2,75. Basta una semplice moltiplicazione per capire che quindi gli italiani che, alla vigilia delle Europee, si troveranno ad avere in tasca qualche centinaio di euro in più grazie al Movimento 5 Stelle saranno almeno 2,2 milioni. Certo, alcuni sono minori, una piccola minoranza stranieri senza diritto di voto, qualche domanda sarà certamente respinta. Ma è un numero politicamente significativo, anche se, per ora, non si riscontra un grande impatto nei sondaggi, ma i soldi devono ancora essere erogati.
Al netto dell’effetto nelle urne, quei 2,2 milioni di potenziali beneficiari sono tanti o sono pochi? La misura, insomma, sta funzionando o no?
Per valutare il successo degli interventi anti-povertà il primo parametro è quello del tasso di take up, la percentuale di quelli che ottengono la misura rispetto ai beneficiari potenziali. Nel caso di reddito di cittadinanza, la platea di riferimento non è quella dei 5milioni di poveri assoluti (2,2 milioni di famiglie), quelli che il vicepremier Luigi Di Maio voleva “abolire”. Se torniamo alla relazione tecnica della legge, si nota che la stima dei nuclei familiari titolati al reddito è di 1,3 milioni. Quindi, dopo un solo mese di domande, nell’ipotesi che vengano tutte accolte arriveremmo a un tasso di take up del 61 per cento. Un livello non molto diverso da quello raggiunto dal Rei, il reddito di inclusione varato dal governo Gentiloni che a fine 2018 riguardava 462.000 nuclei (beneficiari di almeno una mensilità) su 700.000 potenziali.
Come nel caso del Rei, anche per il reddito di cittadinanza si inizia a delineare un “tiraggio” (cioè la quantità di richieste effettive) al Sud superiore alle stime. Nessuna sorpresa, comunque, che il reddito sia rilevante soprattutto nel Mezzogiorno. Secondo i calcoli dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, la percentuale degli aventi diritto in Campania, per esempio, è dell’12,4 per cento, mentre in Lombardia soltanto del 3,2. E questo si nota anche nei numeri assoluti delle domande presentate finora, con 71.000 domande in Lombardia e 137.000 in Campania. Il Documento di economia e finanza presentato ieri dal governo Conte stima che l’effetto del reddito di cittadinanza spingerà il Pil dello 0,2 per cento nel 2019 e dello 0,4 nel 2020 e 2021.
I Cinque Stelle sul reddito di cittadinanza si giocano molto alle elezioni europee del 26 maggio. Eppure ora tengono un basso profilo: l’equivoco sugli 800.000 invece che 2,2 milioni potenziali beneficiari è alimentato proprio dalla comunicazione ufficiale, soprattutto del ministero del Lavoro di Luigi Di Maio. Come si spiega tanta prudenza? Due ipotesi: il timore che molte di quelle domande non vadano a buon fine o la paura che qualcosa vada storto nella fase di erogazione del sussidio e quindi il numero di beneficiari potenziali si trasformi in quello degli elettori delusi. I tempi sono stretti, i soldi dovrebbero essere pagati a inizio maggio su carte che, nel frattempo, i beneficiari dovrebbero aver ritirato dagli uffici postali.
Tutta la parte di politiche attive connesse al reddito – dalla riforma dei centri per l’impiego alla piattaforma digitale ai navigator – è ancora in alto mare. Ma le elezioni – come dimostra il boom del Pd nel 2014 dopo gli 80 euro – si vincono con i soldi, non con le politiche attive del lavoro.


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COSA FARANNO I TUTOR?
GIORGIO POGLIOTTI, IL SOLE 24 ORE 11/4 – 
Il braccio di ferro sul ruolo dei 3mila navigator fa slittare l’intesa in conferenza Stato Regioni, chiamata ieri ad approvare il piano straordinario di potenziamento dei centri per l’impiego e delle politiche attive del lavoro.
La proposta delle Regioni e Province autonome prevede che i percettori del reddito di cittadinanza, convocati ai centri per l’impiego per sottoscrivere il patto per il lavoro si rapportino con i dipendenti e non con i navigator, che dovranno svolgere attività di supporto ai servizi per l’impiego. Un’impostazione ben diversa, rispetto a quella prospettata originariamente dal governo, che puntava a dare un ruolo da protagonisti ai navigator, nell’accompagnamento al lavoro dei beneficiari del Rdc. Ma già con l’intesa dell’11 marzo, il governo ha dovuto dimezzare la platea di navigator da assumere (da 6mila a 3mila) con contratto di collaborazione biennale e, per evitare conflitti di competenze, ha previsto il coinvolgimento diretto delle regioni nella gestione operativa di questi “coach” che dovranno affiancare il personale dei centri per l’impiego (gestiti dalle regioni) nel reinserimento occupazionale dei beneficiari del Rdc.
Si allungano, dunque, i tempi per l’intesa che contiene anche la distribuzione regionale dei 3mila navigator ed è propedeutica alla pubblicazione del bando di selezione da parte di Anpal servizi. «Non ce l’abbiamo fatta a chiudere su qualche aspetto tecnico - spiega la coordinatrice degli assessori al Lavoro della Conferenza delle Regioni, Cristina Grieco - però, dovendo anche far avviare la procedura selettiva per i navigator, chiuderemo a breve, al massimo in qualche giorno, lasciando aperta la Conferenza Stato-Regioni». Una nuova riunione della Conferenza Stato Regioni è fissata per mercoledì 17 aprile, ma i tecnici sono al lavoro per definire l’intesa prima di quella data. «Si tratta di mettere in chiaro per il ruolo dei navigator e per le funzioni che dovranno avere nei centri per l’impiego quello che abbiamo già detto a monte, senza ambiguità di nessun tipo tra quello che pensiamo noi e quello che pensa il ministero», aggiunge Grieco. Lo sblocco in tempi rapidi di questa partita è decisivo, visto che a fine maggio i primi percettori del sussidio si recheranno nei centri per l’impiego, rischiando di trovare i soli 8mila attuali dipendenti che, dovendo garantire i servizi anche alla platea di disoccupati esclusi dal Rdc, difficilmente potranno occuparsi della loro presa in carico.
Il piano straordinario mette a disposizione delle Regioni 467,2 milioni per il 2019 e 403,1 milioni per il 2020, ripartite in proporzione al personale assegnato, utilizzabili anche per il potenziamento infrastrutturale dei Cpi, ulteriori 70 milioni sono da destinare ad attività connesse all’erogazione del Rdc o all’assunzione di altro personale. Il piano di rafforzamento dei Cpi prevede a regime 11.600 nuovi ingressi. A carico delle Regioni si prevedono nella prima fase 4mila assunzioni a tempo determinato e 1.600 stabilizzazioni.