La Stampa, 10 aprile 2019
Blocchiamo il farmaco gender
Blocchiamo il farmaco «gender». L’ultima crociata del network ultra cattolico che si è ritrovato a Verona per il congresso della famiglia è contro la «triptorelina», una molecola in grado di agire sul sistema endocrino e sospendere l’arrivo della pubertà e dare più tempo per indagare la propria identità di genere. Viene usato, oltre che per curare il cancro alla prostata e al seno, per il trattamento di adolescenti con «disforia di genere»: quando un bambino non si riconosce nel genere sessuale determinato dai suoi cromosomi e vive in una condizione di forte disagio perché dentro a un corpo che non gli appartiene. Una questione spinosa dove si confrontano ideologia, etica e sanità. A scatenare il fuoco di fila dei fan della famiglia tout court è stata la decisione dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) di autorizzare la prescrivibilità e rimborsabilità della triptorelina.
Il farmaco è usato da anni contro il tumore al seno e alla prostata, con la raccomandazione «dell’impiego in casi selezionati con diagnosi di disforia confermata da una equipe multidisciplinare e specialistica». Per le sigle della destra cattolica che ripudiano l’aborto e considerano l’omosessualità “opera del demonio” (capeggiate dal movimento Nova Civilitas) è una scelta «da irresponsabili, causata da effetti deleteri della propaganda ideologica».
La Lega sposa la causa
Le voci di questo universo conservatore e tradizionalista hanno trovato una sponda soprattutto nella Lega. «Il via libera di Aifa all’uso della triptorelina, che potrà essere somministrata per bloccare la pubertà è un vergognoso cedimento alle ideologie genderiste e mette in pericolo la salute dei minori», attaccano i senatori del Carroccio Massimiliano Romeo, Sonia Fregolent e Simone Pillon, promotore di un disegno di legge molto contestato in materia di diritto di famiglia, separazione e affido.
Una posizione sostenuta anche dagli alleati di governo del M5S: il presidente della commissione Sanità del Senato Pierpaolo Sileri ha deciso di far partire un’indagine conoscitiva di Palazzo Madama e accogliere le posizioni di un piccolo gruppo di associazioni che vede nelle inesistenti teorie gender la spinta per i bambini e adolescenti a «scegliersi» la propria identità di genere.
Nessun cambio di sesso
Con il cambio di sesso il farmaco però non c’entra proprio nulla. In Gran Bretagna, Usa, Olanda e Belgio, solo per citare qualche Paese, lo si usa già da tempo per dare una risposta medica e al contempo mitigare l’impatto psicologico, spesso devastante, della crescita. Che significa barba, seno, cambio della voce in un’eta già di per sè molto delicata.
«Abbiamo pazienti che diventano anoressiche per cercare di impedire al proprio corpo di assumere forme femminili, mentre molti ragazzi sviluppano forti stati d’ansia e depressione», racconta Maria Cristina Meriggiola, endocrinologa del Policlinico Malpighi di Bologna e responsabile dei programmi sui disturbi dell’identità di genere. Una ricerca pubblicata nel 2017 dalla prestigiosa rivista scientifica Lancet ha rivelato che su 218 bambini e adolescenti con disforia si sono verificati 84 episodi di autolesionismo, mentre 74 di loro avevano manifestato intenzioni suicide, che 29 avevano cercato di mettere in atto.
«La triptorelina -spiega la dottoressa Meriggiola- viene assunta al massimo per due anni, al termine dei quali si decide se continuare la strada verso l’operazione per il cambio di genere». Cambiamento che intraprende meno di un terzo dei ragazzi, perché nella maggioranza dei casi la disforia scompare nel passaggio tra l’infanzia e l’adolescenza. Se perdura oltre la pubertà difficilmente viene però superata. E allora intraprendere le cure ormonali quando barba o seno sono già sviluppati può solo significare aggiungere sofferenza a un percorso già di per sé doloroso. Mentre per chi torna ad identificarsi con il genere sessuale di nascita non ci sono problemi, perché come assicura il professor Paolo Vitti, presidente della società italiana di endocrinologia «si tratta di un farmaco dagli effetti assolutamente reversibili, oltre che estremamente efficace e sicuro».
Ma caro. Il trattamento costa migliaia di euro l’anno, che sarebbero finiti a carico delle famiglie se l’Aifa non avesse deciso di rimborsare il farmaco per la disforia di genere. Depennata da tempo dall’elenco dei disturbi psichici, ma che secondo recenti ricerche interesserebbe almeno 3 bambini su 100. Ai quali questo farmaco potrebbe dare una mano a crescere nel corpo che sentono più giusto per loro.