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 2019  aprile 09 Martedì calendario

Francesco Piccolo: «Con Pif alla scoperta delle piccole cose belle. Non abbiamo paura della banalità»

Francesco Piccolo, scrittore e sceneggiatore, è nato a Caserta.
La visione sta tutta in quella parola, che ha l’aria leggera: trascurabile. «Lo è tutto quello che facciamo ogni giorno e non ci accorgiamo di quanto sia importante. Quello che ci fa dire: ecco, è proprio quella roba lì». Quella «roba lì» a cui si aggancia Francesco Piccolo è la scossa che tende una linea dalla pancia al cervello: ti fa felice o infelice. E su questa condizione ripetuta all’infinito lo scrittore ha pubblicato i libri gemelli «Momenti di trascurabile felicità» nel 2010 e «Momenti di trascurabile infelicità» nel 2014, la scorsa stagione poi shakerati in un solo copione da portare sul palco con lo spettacolo «Momenti di trascurabile (in)felicità»: alle 21 arriva al Teatro Colosseo. L’autore è affiancato da Pif, il protagonista del film di Luchetti sulla stessa, sorprendente e trascurata felicità. È un fuori programma la presenza di Pif: avete scoperto che il teatro, insieme, vi regala una non trascurabile soddisfazione?
«Io questo spettacolo ho iniziato a portarlo in giro l’anno scorso da solo, ma effettivamente con Pif ci siamo trovati: sulla visione, sullo sguardo del quotidiano. Con il film ci siamo divertiti e così abbiamo fatto una prova a Roma e ora siamo qui a Torino. E ci sono già numerose richieste per il prossimo anno».
Vi giocate un ping pong di sentimenti comuni?
«Tra noi si sente un modo leggero di stare al mondo e attraverso quello leggiamo, interpretiamo e improvvisiamo dai libri: alla fine chiediamo al pubblico quello che lo rende abitualmente felice o infelice».
Voi per cosa tifate fra le felicità e infelicità?
«Ad esempio sei infelice quando sei certo di esserti vestito molto bene e qualcuno ti dice “Ti potevi vestire meglio”. O sei felice quando la tua donna capisce che nel letto ci si può abbracciare prima e dopo il risveglio, ma durante la notte ognuno deve stare nella sua parte».
Momenti piantati nella testa di tutti: non c’è niente della vita sociale?
«Lo spettacolo è un modo per staccarsi dalla pressione della vita pubblica e dalla politica, per quanto una volta abbiamo fatto salire sul palco un rider che porta in bicicletta la cena nelle case, un’altra un ragazzo che si occupa di disabili. La politica ha tante facce».
I tormentoni quotidiani non sono banali?
«Non dobbiamo avere paura della banalità, noi ci divertiamo nel dialogo con il pubblico e spesso vengono raccontate le cose più comuni».
Ai ragazzi interessano i tic degli adulti felici-infelici?
«Mi sembra che tutte le generazioni siano migliori di quella precedente e i nostri figli possiedono linguaggi e modi di amare e pensare più vivi, intelligenti: noi non siamo una sorpresa, ma lo sguardo ironico è importante».