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 2019  aprile 09 Martedì calendario

Ogni anno ci sono 137mila nuovi italiani

Quando è diventato famoso per avere sventato l’attentato allo scuolabus a San Donato Milanese, il tredicenne Rami Shehata non poteva immaginare che sarebbe diventato cittadino italiano «per meriti speciali». Non voleva nemmeno chiederla, la cittadinanza. Forse ci avrebbe pensato a 18 anni, nel momento in cui i neomaggiorenni nati in Italia da genitori stranieri regolari hanno dodici mesi per presentare la domanda e aspettare i tempi – lunghi – della burocrazia italiana. Ora il suo gesto coraggioso gli consentirà di bruciare le tappe. La cittadinanza l’aveva invece ottenuta Ousseynou Sy, il conducente dell’automezzo dirottato e incendiato, che di anni ne ha 46 ed è tutt’altro che un eroe come Rami: sulle spalle ha già una condanna per molestie sessuali e una sospensione della patente per guida in stato di ebbrezza. Nato in Francia da genitori senegalesi, aveva varcato le Alpi da ragazzo e 15 anni fa divenne cittadino italiano.
Viceversa, il sindaco di Castel Volturno dovrà dare la cittadinanza (...)
(...) italiana a Nwabuzor Aaliyah Smith, 22 anni, nata a Pozzuoli da nigeriani irregolari, che aveva fatto causa al comune dopo un primo diniego: il suo avvocato, Hilarry Sedu, ha portato al giudice del tribunale civile di Napoli le pagelle scolastiche della ragazza e il diploma da pasticciera per dimostrare che aveva i titoli per diventare italiana. Un altro sindaco, Lorenzo Guzzetti di Uboldo (Varese), qualche anno fa ha posto il veto a una marocchina che viveva in Italia da vent’anni e sembrava ben integrata, ma non sapeva pronunciare il giuramento di rito. Lei l’italiano lo parla ma non ha mai imparato a leggerlo.
L’IMPENNATA
Cittadinanze concesse e negate. L’Italia, culla del diritto, ha una delle legislazioni europee più rigide sulla materia. Nonostante questo, negli ultimi anni i numeri hanno fatto registrare un’impennata senza precedenti. Nel 2006 i nuovi italiani erano stati 35.260. L’anno dopo crebbero del 29 per cento, nel 2008 di un altro 18, nel 2009 del 10 per cento circa e nel 2010 dell’11 per cento. In quell’anno le acquisizioni di cittadinanza erano state 65.932: in meno di un quinquennio si era registrato un incremento dell’85 per cento. Il 2011 ha fatto segnare una stasi, con un passo indietro del 15 per cento. Ma dal 2012 il ritmo ha ripreso a galoppare anno dopo anno, fino a toccare il livello record del 2016, con circa 202mila cittadinanze: quasi sei volte più di dieci anni prima. Nel 2002, secondo il primo dato ufficiale disponibile dell’Istat, erano appena 12mila. In quattro anni, dal 2012 al 2016, le cittadinanze concesse sono raddoppiate: da 101mila a 202mila.
Questa rincorsa ha portato l’Italia a conquistare anche il primato europeo delle cittadinanze concesse. Dalle 53.696 del 2008 si è passati alle 146.605 del 2017: quasi tre volte in più. In Europa sono state registrate anche percentuali più elevate, ma in Paesi più piccoli come Lussemburgo, Malta e Repubblica ceca, dove i numeri sono limitati a poche migliaia di acquisizioni. Nelle realtà minori, un incremento anche di poche unità può corrispondere a un balzo notevole in percentuale. Da noi invece si tratta di un fenomeno massiccio: nel 2017 quasi uno ogni cinque nuovi cittadini dei ventotto Paesi Ue ha preso il passaporto italiano.
Il Regno Unito, secondo in questa speciale graduatoria, ha registrato 123mila nuovi sudditi della regina Elisabetta mentre il terzo Paese, la Germania di Angela Merkel, ne ha annoverati 115mila e la Francia di Emmanuel Macron si è fermata a 114mila. Nella classifica delle acquisizioni di cittadinanza, l’Italia domina dunque incontrastata. Dieci anni fa eravamo al quinto posto, superati da Paesi che richiamavano molti più stranieri: Francia, Regno Unito, Germania e Spagna. Oggi l’Eldorado dei non comunitari siamo noi. Nei dodici anni dal 2006 al 2017 compresi, l’Italia ha acquisito 1.138.052 nuovi cittadini. E il nostro è anche il Paese che mostra l’andamento più coerente rispetto alle altre nazioni Ue: una tendenza di crescita evidente, costante e sostenuta, almeno fino a tutto il 2016.
CHI SONO
Quanto alla provenienza, la gran parte è originaria di Albania e Marocco, i Paesi che hanno sempre fornito il maggior numero di nuovi italiani. Albanesi e marocchini sono i più interessati a conseguire il passaporto italiano: su cento residenti in Italia di queste nazionalità, 7,3 lo ottengono. Molto meno interessati sono altre etnie che pure costituiscono comunità nazionali molto numerose nel nostro Paese, come romeni, cinesi e filippini. 
La percentuale di acquisizione di romeni è ferma all’1,3. Del resto, la Romania fa già parte dell’Unione europea e i suoi cittadini possono già muoversi liberamente all’interno dei ventotto Paesi dell’Ue. Cinesi e filippini restano fortemente legati alle tradizioni e alla cultura dei loro luoghi di origine. Percentuali più significative fanno invece segnare indiani, bangladesi, pakistani, tunisini, peruviani, macedoni ed egiziani.
Questo è il quadro di cui tenere conto quando si discute di accoglienza, cittadinanza e ius soli: benché abbia una delle leggi più restrittive nell’Unione europea, l’Italia è il primo Paese dei 28 per numero di nuovi cittadini. E nulla fa pensare che il contesto possa cambiare. «Secondo le proiezioni demografiche, la situazione è destinata non a modificarsi ma a stabilizzarsi sui dati del 2017 nei prossimi anni», spiega Alessio Menonna, ricercatore della Fondazione Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità) di Milano, uno degli enti più attenti all’analisi del fenomeno.
Significa che il picco del 2016 non dovrebbe essere più eguagliato. «I numeri della cittadinanza sono del tutto slegati da quegli degli sbarchi più recenti, mentre sono l’eredità delle prime ondate migratorie degli anni Novanta», precisa Menonna. Lo si vede analizzando le età degli stranieri che conquistano il passaporto e le ragioni che hanno consentito loro di ottenerlo. Negli ultimi anni, in media, la metà ha acquisito la cittadinanza per residenza, cioè avendo risieduto e lavorato stabilmente e regolarmente in Italia per dieci anni. Un 10% l’ha conquistata per matrimonio, cioè unendosi a un cittadino (o cittadina) italiano. Il resto sono giovani, cioè figli di neocittadini o diciottenni nati in Italia da genitori stranieri in regola ma privi della cittadinanza. Il loro numero è in crescita.
LE SANATORIE
Più che degli sbarchi, il boom delle richieste di cittadinanza è conseguenza delle sanatorie che hanno accompagnato ogni cambio delle leggi sull’immigrazione. Regolarizzazioni massicce sono seguite alla legge Martelli del 1990, al decreto Dini del 1995, alla Turco-Napolitano del 1998 e anche alla Bossi-Fini del 2002, che pure inasprì le norme in materia. Nel 2006 il secondo governo Prodi varò una sanatoria mascherata quando il decreto flussi allargò il diritto di ottenere il permesso di soggiorno a tutti i richiedenti: non è un caso che il massimo storico delle cittadinanze sia stato registrato esattamente dieci anni dopo quell’operazione. 
L’ultima sanatoria risale al 2009, quella riservata all’emersione di colf e badanti. In quell’occasione furono presentate 300mila domande. Secondo l’Istat, negli anni Novanta più del 60% dell’aumento della presenza straniera in Italia è stato legato alle regolarizzazioni, non agli sbarchi.
I tempi, dunque, sono lunghi. Ci vogliono almeno dieci anni di vita italiana irreprensibile, fatta di permessi di soggiorno rinnovati, lavoro in regola, tasse pagate e leggi rispettate. Poi vanno aggiunte le lungaggini della burocrazia: la legge impone di dare risposta entro 730 giorni (cioè due anni) da quando viene presentata l’istanza, ma il termine non viene quasi mai rispettato.
«Negli ultimi anni negli uffici si sono sommate anche le numerose richieste di asilo – osserva Menonna – e le istanze per la cittadinanza sono finite in coda. Ci sono attese lunghe anche quattro o cinque anni. In questo campo non vale il silenzio assenso e ogni pratica è diversa dall’altra. E in quasi tutti gli uffici il personale è insufficiente».