Corriere della Sera, 9 aprile 2019
Che cos’è lo stile? La lezione di Contini
«La moralità, per uno studioso, è tutta lì: è il sapersi castigare quando si corre troppo e, nello stesso tempo, il non rifiutarsi all’illuminazione». A parlare è lo Studioso con la maiuscola, il maggior filologo, Gianfranco Contini, che così rispondeva nel 1989 a Ludovica Ripa di Meana. Il libro intervista, Diligenza e voluttà, viene ora riproposto da Garzanti a trent’anni dalla prima uscita, ed è un bel regalo non solo per i filologi. Perché quel pensiero sulla moralità vale per tutti: sapessero, politici e giornalisti, professori e studenti, giudici e avvocati, filologi e manovali, genitori e figli, cogliere il momento giusto per castigarsi o per lasciarsi andare… Forse è già tutto dentro l’opposizione (apparente) del titolo. «Mentre lavora, la visita mai la noia?», chiede l’intervistatrice. Risposta del vecchio filologo (balbettante dopo l’ictus degli anni 70, ma rimasto implacabilmente lucido): «Direi di no (…). Vorrei sempre lavorare nella voluttà». Che cos’è la voluttà nel mestiere? È il piacere che scaccia la noia. Un bel privilegio. E la diligenza? È l’impegno, l’operosità richiesta dalle grandi imprese. Tant’è vero che, a proposito di «diligenza», Contini ci regala questa frase malinconica (con un bell’avverbio): «forse non avrei ora senescentemente tanta energia nel riprodurla». Si definisce, Contini, uno che «ausculta» i testi e gli autori, con una sorta di stetoscopio: «ausculto, ausculto». Ripa di Meana gli chiede qual è il difetto umano che lo affascina di più. E lui: «Sbaglierò, ma quello che mi affascina, in quanto mi affascini, non è certo un difetto, è una virtù». E non c’è una virtù di cui diffida? «No, non diffido di virtù. Non diffido di virtù». Un messaggio inequivocabile in un tempo, come il nostro, in cui si diffida molto più delle virtù (il buonismo...) che dei vizi (la cattiveria elevata a sincerità «cazzuta» o spiritosa). E allora si capisce perché il filologo è anche un moralista: perché ci tiene ad avvicinarsi il più possibile alla verità in modo onesto. Quando parla dei suoi libri, Contini cita il Breviario di ecdotica e l’edizione del Fiore (il poemetto che ritenne «attribuibile» a Dante). E detto ciò, aggiunge: «Ma ci sono alcune pagine qua e là che mi soddisfano». Eccelso studioso dello stile degli altri, ma capace di «auscultare» anche se stesso, praticando lo stile in proprio! Non solo senescentemente.