Corriere della Sera, 9 aprile 2019
Tutte le donne del presidente Trump
Le foto che ritraggono le riunioni del governo Trump sono tutte uguali: una lunga tavolata di pantere grigie, con tre figure che sembrano degli imbucati nel club per soli uomini più esclusivo d’America. Sono il segretario all’Edilizia, l’afroamericano Ben Carson e, soprattutto, con l’uscita di Kirstjen Nielsen, le ultime due donne superstiti nella squadra dei 16 ministri di prima fascia: la responsabile per la scuola Betsy DeVos e il segretario per i Trasporti, Eliane Chao.
A Washington si dice che la loro posizione sia, almeno sulla carta, blindata. Betsy fa parte di una delle famiglie più ricche del Paese e tra le più generose con il comitato Trump nella campagna elettorale del 2016. Chao è indubbiamente una donna con grande esperienza: è stata ministra del Lavoro in tutti e due i mandati di George W. Bush. Ma, sottolineano i più maliziosi, è anche la seconda moglie del leader della maggioranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell. Un personaggio legato da un patto politico di pura convenienza reciproca con Trump.
Considerazioni troppo ciniche? Forse sì. E potrebbe anche essere del tutto casuale, ma è un dato di fatto che nel giro di due anni il presidente abbia licenziato o costretto alle dimissioni, oltre a molti uomini, quasi tutte le donne del suo staff. Talenti indiscussi, come Dina Habib Powell, 46 anni, manager di livello a Goldman Sachs, dove è tornata dopo nove mesi di esperienza alla Casa Bianca, dal 15 marzo 2017 al 12 gennaio 2018.
Dina era la vice del consigliere per la sicurezza nazionale Herbert Raymond McMaster e aveva stabilito un ottimo rapporto con Ivanka Trump e il marito Jared Kushner. Aveva in mano dossier importanti come quello sul Medio Oriente, eppure non è bastato. Powell aveva fatto sapere di voler stare vicina alla sua famiglia, a New York e per questo motivo aveva rifiutato anche l’offerta di diventare ambasciatrice all’Onu al posto di un’altra dimissionaria a sorpresa: Nikki Haley.
Quattro fedelissime
Resistono due ministre «blindate», Conway la consigliera e Huckabee portavoce d’acciaio
L’ex governatrice della South Carolina ha rinunciato a uno degli incarichi più in vista nell’amministrazione il 9 ottobre 2018, ancora una volta «per motivi personali». In realtà Nikki, 47 anni, veniva sistematicamente spiazzata o tagliata fuori dalle decisioni cruciali di politica estera da quando John Bolton era subentrato a McMaster come consigliere per la sicurezza nazionale e Mike Pompeo aveva assunto la guida del Dipartimento di Stato.
Ma anche nel cerchio più stretto, quello delle fedelissime ci sono state uscite clamorose. Resiste la consigliera Kellyanne Conway, 52 anni, nonostante i guai che le procura il marito improvvisamente anti-trumpiano, e tiene bene anche la portavoce d’acciaio, Sarah Huckabee Sanders.
L’anno scorso, invece, ha lasciato Hope Hicks, 30 anni, la custode di ultima istanza dell’agenda di Trump, il filtro invalicabile, la titolare dell’ufficio accanto allo Studio Ovale. Hope aveva cominciato lavorando per Ivanka ed era diventata una persona di fiducia per tutto il clan Trump. Si sono fatte tante ipotesi, si è parlato di relazioni amorose con altri collaboratori nella Casa Bianca o di «Russiagate». Ma ma non si è mai capito veramente perché Hope se ne sia andata da un posto che i suoi coetanei americani possono solo immaginare.
Omarosa Manigault Newman, 45 anni, ex concorrente di «Apprentice», lo show che ha dato popolarità a Donald Trump, è durata ancora meno. Era direttrice delle Comunicazioni alla Casa Bianca, un ruolo che interpretava con troppa invadenza, secondo l’allora capo dello staff, John Kelly, che la mise alla porta. Con l’avallo del presidente.