Il Sole 24 Ore, 9 aprile 2019
L’Europa non paga: 267 miliardi di arretrati
«La Corte evidenzia i rischi significativi che un elevato livello di impegni non ancora liquidati può generare per il bilancio dell’UE. Esso potrebbe comportare l’impossibilità di soddisfare le domande di pagamento nei tempi previsti a causa dell’insufficiente dotazione dei bilanci annuali e l’aumentata esposizione finanziaria del bilancio dell’UE». La piaga dei ritardi di pagamento non è solo della pubblica amministrazione italiana. Anzi, come ha clamorosamente denunciato la Corte dei Conti Ue, a ritardare oltremisura l’erogazione dei impegni di pagamento giù approvati è proprio l’istituzione che più di ogni altra ha censurato l’Italia per la lentezza con cui lo Stato paga il dovuto, l’Unione Europea.
Secondo la verifica effettuata dalla Corte sui bilanci dell’Unione, infatti, dopo anni di aumento quasi ininterrotto, gli impegni rimasti in sospeso nel bilancio europeo hanno raggiunto il nuovo massimo storico di 267 miliardi di euro a fine del 2017, l’ultimo esercizio disponibile: poichè a fine 2007 la somma totale non pagata dalla Ue era di 138,7 miliardi di euro, l’aumento complessivo in 10 anni è stato del 93%. In particolare, i ritardi nell’erogazione dei fondi vanno da un minimo di 1,2 anni per i programmi legati alla «Sicurezza e cittadinanza»?agli oltre 3 anni di ritardo per i «Fondi di coesione economica, sociale e territoriale». Non a caso, la somma più elevata di fondi non pagati è proprio quella destinata alle infrastrutture: 189 miliardi su 267. Ma vediamo il dettaglio.
«La maggior parte di questi impegni non pagati – scrive la Corte nel rapporto che è stato appena pubblicato – rappresenta un futuro obbligo di pagamento del bilancio». Per i giudici contabili europei, l’esplosione dei fondi non erogati è legata a fattori che sono ben noti da tempo, ma su cui il legislatore ha fatto poco o niente: stanziamenti di impegno superiori agli stanziamenti di pagamento, la chiusura di un programma pluriennale che si sovrappone all’inizio di uno nuovo e i programmi finanziati dall’UE negli Stati membri che subiscono una lenta attuazione. Una situazione, questa, che sta pericolosamente degenerando e che rischia di sfociare non solo «nell’impossibilità di soddisfare le future esigenze di pagamento», ma anche di provocare traumi non indifferenti nella governance dei fondi europei, soprattutto di quelli legati agli investimenti per lo sviluppo.
Per la Corte, le norme disciplinanti la spesa in vari settori del bilancio hanno avuto un impatto significativo sull’aumento dei pagamenti arretrati. In particolare, i Fondi strutturali e d’investimento europei (fondi SIE) sono quelli che hanno contribuito di più (189,9 miliardi alla fine del 2017), sia a causa della sovrapposizione tra i periodi in cui i programmi dei fondi possono essere attuati, sia della tardiva adozione del quadro normativo per i programmi dei fondi SIE: altri nodi riguardano l’estensione del periodo di disimpegno automatico da due a tre anni, i ritardi determinati dalle nuove procedure e dall’introduzione di nuovi requisiti per la spesa per i fondi SIE per il periodo 2014-2020. Per chiarezza, i fondi SIE sono il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), il Fondo di coesione (FC), il Fondo sociale europeo (FSE), compresa l’iniziativa a favore dell’occupazione giovanile, nonché il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP).
Ma l’aspetto più interessante riguarda il nodo-Brexit: «Il progetto di accordo sul recesso del Regno Unito dall’UE – scrive la Corte – dispone che il Regno Unito sia debitore verso l’UE della propria quota di impegni di bilancio non ancora liquidati al 31 dicembre 2020. Un stock di pagamenti inevasi che aumenta significa quindi un più alto importo da saldare. Tuttavia, ciò non fa aumentare il contributo complessivo del Regno Unito, in quanto un RAL che aumenta significa anche che vi sono meno contributi per lo stesso ammontare nel periodo precedente al 31 dicembre 2020».