La Stampa, 9 aprile 2019
«Siamo egoisti e ignoranti». Intervista all’economista Sachs
Disponiamo di inconfutabili evidenze scientifiche e di conoscenze mediche e tecnologiche, ma non le applichiamo per il bene comune e per risolvere i problemi dell’umanità». A parlare è uno dei più famosi economisti, Jeffrey Sachs, direttore del «Center for sustainable development» della Columbia University, a New York, e del «Sustainable Development Solutions Network» dell’Onu.
Sachs ha aperto il Festival della salute globale, organizzato a Padova da Laterza e diretto da Walter Ricciardi con Stefano Vella, per parlare del valore della salute. «Da economista credo che vada posta al più alto livello di priorità, perché da questa dipende la qualità della vita e il buon funzionamento della società - dice Sachs -. La salute è un diritto, è la chiave della felicità, come emerge anche dal “World Happiness Report”, ed è la chiave della produttività».
Professore, lei non ama che si riduca la questione a numeri e cifre, ma di valore stiamo parlando?
«Ha un valore inestimabile. Lo dicono le persone di ogni società e cultura. Studi economici hanno documentato come la salute sia condizione necessaria all’apprendimento, al lavoro, all’occupazione, alla produttività e come la mancanza di salute sia una barriera allo sviluppo dei Paesi e alla pace».
Eppure queste evidenze non sembrano sufficienti: sono gli investimenti in salute l’unico problema?
«La storia della malaria è esemplare. Bastano 50 centesimi per curarla. Noccioline. A chi argomentava che era anche un problema di incapacità, disorganizzazione e corruzione del sistema abbiamo mostrato che si sbagliava. Con l’istituzione del Fondo Globale le morti sono crollate e quindi i finanziamenti sono serviti. Eppure sono stati ridotti. Ciò insegna in che modo un decisore politico tratta i fatti e le evidenze».
Gli elettori non percepiscono la salute degli altri come prioritaria. Perché?
«Come specie ci siamo evoluti di recente e la nostra rete non è mai stata globale: chi ci è lontano conta poco. Ma non è così. Infatti, stiamo cercando di costruire sistemi politici che riconoscano tale interdipendenza, anche se ogni giorno vediamo come ciò sia difficile - si pensi ai litigi tra Paesi europei - e un sistema di regolamentazione internazionale, come l’Onu. In un mondo in cui i problemi sono globali servono istituzioni adeguate».
Quale è il maggior ostacolo alla salute globale?
«Ancora una volta è il mancato finanziamento a organismi internazionali, come il Fondo Globale. Con 31 miliardi di dollari, l’equivalente di 31 dollari per abitante dei Paesi ricchi, si potrebbe bloccare la diffusione della malaria. Ma il Fondo, che andrà rifinanziato in autunno, ne chiede solo 14, perché è questo che i politici sono disposti a dare. Se i 2 mila miliardari del mondo, che possiedono 10 triliardi di dollari (immaginatevi un 10 seguito da 13 zeri), volessero finanziarlo non se ne accorgerebbero neppure. Negli Usa la spesa militare è di 2 miliardi di dollari al giorno: in 15 giorni avremmo finanziato il Fondo Globale per tre anni. Un secondo punto sono le diseguaglianze di salute tra e all’interno dei Paesi, dovute, si dice, ai costi eccessivi dei servizi. Ma nei sistemi che funzionano meglio la spesa sanitaria è del 10-12% del pil: negli Usa, dove le cose vanno male perché abbiamo dato il sistema in mano ai monopoli privati, si arriva al 18%. Infine, oltre a malaria, Aids e tubercolosi, l’agenda 2030 dell’Onu raccomanda di intervenire su mortalità materna e infantile, malattie non trasmissibili, inquinamento atmosferico e malattie mentali e di lavorare alla copertura sanitaria universale.Viviamo in un mondo di disuguaglianze e impunità».
La salute, come il cambiamento climatico, è un problema globale: le soluzioni sembrano ovvie, ma accordi che funzionino non si trovano: c’è spazio per l’ottimismo?
«Il cambiamento climatico non è solo un’analogia con la salute globale, ma ha un enorme impatto su di essa. Le soluzioni, già economicamente sostenibili e a lungo andare convenienti, ci sono e prevedono il passaggio a fonti pulite rinnovabili, con l’abbandono dei combustibili fossili come carbone, gas e petrolio. L’opportunità di salvare il Pianeta e praticamente a costo zero dovrebbe essere la soluzione ovvia. Perché non accade? Questi temi non sono noti ai cittadini, ma neppure i politici le conoscono e loro sono guidati da interessi diversi dal bene comune. Essere nelle mani di persone ignoranti che non dovrebbero mai avvicinarsi al potere è pericoloso».
Come cambiare lo scenario?
«Festival come questo sono fondamentali: bisogna parlare alle persone, perché capiscano che questo è quanto devono chiedere alla politica e all’economia, altrimenti i politici non lo faranno. Bisogna portare la scienza alle soluzioni. Nel XXII secolo non possiamo permetterci politiche ignoranti»