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In nessun altro Paese europeo c’è un governo che gode del sostegno dell’elettorato e del Parlamento solido come in Italia. La maggioranza ha un grande capitale politico, e quindi una grande responsabilità, che deve mettere al servizio della crescita». La flemma di Giovanni Tria, professore dell’Università romana di Tor Vergata e ministro dell’Economia, raro esemplare di tecnico in un governo che più ideologico non si può, pare alle volte sconfinare da un verace disincanto capitolino a un’imperturbabilità da santone indiano. Ma anche lui, alla vigilia di un Documento di economia a finanza che farà più scontenti a Roma che a Bruxelles, sente con tutta evidenza il bisogno di dare un altolà a una maggioranza che appare senza pace e si muove, spaccata, solo in vista della campagna elettorale per le Europee.
Una maggioranza, ministro, che appare più che altro impegnata a litigare. Almeno quando non passa il tempo a prendersela con lei…
«Guardi che partecipando all’attività di governo non si vive quello che si legge sui giornali.
Nessuno mai, in Consiglio dei ministri, è venuto a dirmi le cose che leggo».
Riassunto delle ultime ore: "Tria vada a fare il fornaio, Tria trovi il coraggio". Poi un rumore di sottofondo che la accompagna da tempo: "Tria se ne deve andare". E i dossier su familiari e collaboratori.
«Intanto il fornaio è un lavoro rispettabile. E poi è chiaro che ci sono pressioni sui politici e loro cercano di rispondere in qualche modo, anche con queste dichiarazioni».
Tutto così bene davvero?
«Le faccio l’esempio di quello che è appena accaduto con i rimborsi ai risparmiatori delle banche. I fatti sono che il Mef ha lavorato, si è raggiunto un accordo molto vantaggioso e positivo con la Commissione europea che consentirà di pagare tutti i truffati e di accelerare le procedure di pagamento, nel rispetto delle regole europee. Questo risultato è stato condiviso dal governo e oggi dalla stragrande maggioranza delle associazioni dei risparmiatori. Nel governo non c’è stato scontro».
E gli attacchi personali?
«Non penso che quelli vengano da ambienti politici».
Le dimissioni. Ci ha mai pensato?
«Mai pensate e mai minacciate, anche perché quando ci si dimette davvero lo si fa senza minacciarlo prima. L’unico motivo per cui potrei pensare alle dimissioni è per andare un po’ in vacanza. Ma, scherzi a parte, il mio posto – fino a quando sono utile – è stare al governo».
Salvini ha fatto la voce grossa: vuole la flat tax nel testo del Def. Ci sarà?
«Il Def sarà essenzialmente a legislazione invariata, tranne l’impatto delle misure sulla crescita che stiamo varando. Si specificherà che si sta lavorando perché la legge di Bilancio accolga una continuazione delle riforma fiscale nella direzione del programma di governo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica fissati nello stesso Def che stiamo varando. Evidentemente si tratta di una manovra complessa che dovrà toccare sia il lato delle entrate sia il lato delle spese».
Dunque per fare la flat tax, da 12-15 miliardi, bisognerà tagliare simmetricamente le spese?
«Gli obiettivi di finanza pubblica fissati dal Def sono quelli entro cui
si dovrà operare».
Questo è lo scenario nel quale si muove, ma ci faccia capire dove sta andando l’Italia. Tutto il mondo rallenta, noi però siamo in recessione.
Perché?
«I Paesi più colpiti in Europa, sono le due principali potenze manifatturiere, ossia Germania e Italia. La Germania parte da livelli di crescita del Pil più alti dei nostri e quindi anche il rallentamento non la porta a livelli di crescita vicini allo zero; ma la differenza tra il nostro Paese e loro si mantiene costante, mentre anche secondo stime di organismi internazionali già nel 2020 il gap di crescita tra l’Italia da una parte e la Germania e l’eurozona dall’altra, si ridurrà. E poi, qualunque cosa si possa pensare della legge di bilancio per il 2019, compreso il reddito di cittadinanza e quota 100, questa non ha ovviamente ancora dato i suoi effetti. Bisognerà aspettare la seconda metà dell’anno per vederne qualcuno, così come per vedere gli effetti delle misure urgenti per la crescita che spero siano approvate questa settimana».
Insomma, non c’è problema?
«Non dico questo. Ma dobbiamo guardare con più fiducia al futuro perché l’Italia rimane solida dal punto di vista economico. Una cosa è la congiuntura e una un’altra cosa sono i fondamentali».
La crescita. Ma chi ci pensa, e come, nel governo?
«Alla base della crescita ci deve essere la stabilità finanziaria, quella sociale e quella politica. Su quella finanziaria stiamo lavorando con buoni risultati. L’accordo con la Commissione europea sulla manovra per il 2019 lo ha dimostrato: non abbiamo presentato una legge di bilancio che mette a rischio la stabilità finanziaria».
Ma il nostro debito la mette a rischio.
«Il livello del debito è un peso per l’Italia, ma non un rischio per gli altri Paesi. E il Def che conto di approvare domani (oggi, ndr) punta ad una sua riduzione».
E la stabilità sociale? Anche in Italia le differenze aumentano.
«Per la stabilità sociale ci si è mossi con il reddito di cittadinanza, e anche Quota 100 contribuirà a questo fine. E poi ci sono le misure dirette soprattutto alle imprese: aiutarle significa aiutare anche l’occupazione».
Resta la stabilità politica.
«Sì, e c’è un potenziale di stabilità politica che altri Paesi non hanno e che il governo deve sfruttare in pieno per favorire la crescita».
Ma i programmi di Lega e Cinque Stelle non paiono proprio fatti, contratto a parte, per stare insieme.
«L’importante è che ci sia una sintesi dei programmi e che alla fine il risultato porti alla crescita. Ovvio che ci siano, come si dice in gergo politico, "sensibilità diverse", ma non è detto che queste sensibilità si oppongano alla crescita. Ad esempio la necessità di avere crescita più inclusiva è un’esigenza che ormai in Europa sentono tutti, a destra come a sinistra».
Lei parla di "sintesi politica" tra le forze di governo. Ma l’unico lubrificante che pare far funzionare la maggioranza è la spesa pubblica: più spese con il reddito, meno entrate con la flat tax…
«No, il lubrificante non può essere la spesa pubblica, se non – in una certa misura – per gli investimenti. E non servono nemmeno risorse finanziarie ingenti, ma si deve invece puntare a riforme, a rivedere norme che non funzionano, per far ripartire l’economia. Il dibattito sul codice degli appalti è un esempio: devono ripartire gli investimenti. Ovviamente si deve contrastare la corruzione, ma non bloccando tutto. Le norme devono guardare prima di tutto alla fisiologia del sistema e poi affrontare eventuali patologie».
Ma se nel Def ci si ferma allo 0,1 o 0,2% di rialzo del Pil l’Italia, più che una crescita inclusiva, rischia di avere un’inclusione senza crescita…
«I tassi di crescita a breve sono quelli noti e determinati dalla congiuntura internazionale. E comunque sono in zona positiva. Ma il rischio è che dappertutto, e non solo in Italia, si stia sottovalutando l’importanza della crescita. Anche in Europa se ne parla da poco; fino a qualche mese fa il focus era solo su come prevenire una nuova crisi finanziaria come quella del 2008. E intanto non ci si accorgeva che il vero pericolo è una crisi economica. Al momento mi fa più paura una crisi economica che si trasmette alla finanza che non il contrario».
In Europa, Germania compresa, qualcosa si muove su questo fronte. L’Italia può contribuire al dibattito o come "sorvegliato speciale" sul fronte dei conti pubblici è bene che resti fuori?
«L’Italia deve contribuire e sta contribuendo a questo mutamento di prospettiva. Anche nell’ultima riunione dell’Eurogruppo che abbiamo fatto a Bucarest si è discusso di questo e ho ricordato che ancora in autunno si chiedevano politiche di austerity perché l’economia pareva andare bene e bisognava mettere fieno in cascina. Ora la Germania pare invece intenzionata a lanciare, tra l’altro, un grande piano di investimenti da 80 miliardi per l’auto elettrica. Anche la parte più forte dell’Italia deve reagire, con innovazione e investimenti. Ma più di tutto è importante che in Europa si cominci a ragionare da europei, pensando a quelli che sono gli effetti di misure prese da un Paese su tutti gli altri. Se si chiede più rigore fiscale a un grande Paese come l’Italia bisogna anche calcolare quali potrebbero essere gli effetti di un rallentamento della sua domanda sull’economia del resto dell’Eurozona».
Un approccio mutualistico interessante, ma non pensa che anche qui l’Italia rischi di rimanere fuori? Nessuno ha interesse a mutualizzare il nostro debito pubblico:
«Ma noi non chiediamo di aumentare il debito. Chiediamo una politica di maggiore crescita europea e questa aiuterebbe tutti a ridurre il debito».
Insomma, per l’Italia questo sarà o non sarà "un anno bellissimo", per citare il presidente del Consiglio?
«Spero soprattutto che sia un anno in cui riprenda la fiducia nel Paese. Il problema non è una crescita allo 0,1 o allo 0,2% per un anno, perché in fondo siamo un Paese ricco e con una forte capacità produttiva. Per metterla a frutto non dobbiamo essere pessimisti, non dobbiamo perdere la fiducia nel futuro».
Non teme alle volte di somigliare un po’ troppo al Candido di Voltaire, convinto di vivere nel migliore dei mondi possibili?
«Non le ho detto affatto che tutto va bene. Le dico che dobbiamo lavorare perché vada meglio. E il mio lavoro, come ministro dell’Economia, è fare in modo che la sintesi politica sia non solo compatibile con i numeri del nostro bilancio, ma anche che configuri una politica economica coerente».