Libero, 8 aprile 2019
Beresheet porta Israele sulla Luna
Porta a bordo una Bibbia, milioni di pagine di Wikipedia in lingua inglese in digitale e tanti disegni realizzati per l’occasione da bambini israeliani. Ma anche strumenti scientifici per lo studio del campo magnetico e per la misurazione della velocità di allontanamento della Luna dalla Terra. È la sonda Beresheet, che giovedì prossimo dovrebbe toccare il suolo del nostro satellite consentendo così a Israele di diventare il quarto Paese del nostro mondo, dopo Stati Uniti, Russia e Cina, a compiere questa impresa. Beresheet che in ebraico significa «in principio», ma anche «genesi» potrà però vantare un record assoluto: quello di essere la prima sonda privata a scendere sulla Luna. È stata costruita dalla società israeliana SpaceIL, un’organizzazione no-profit che grazie agli sforzi congiunti di imprenditori, istituti di ricerca, industrie aerospaziali ha raccolto 100 milioni di dollari, e in coordinamento con l’Agenzia spaziale israeliana, Leonardo Swedish Space Corporation e la Nasa ha fatto diventare un sogno realtà. Partita da Cape Canaveral lo scorso 21 febbraio, ha raggiunto l’orbita lunare solo giovedì scorso, seguendo un lunghissimo e lento percorso fatto di orbite sempre più ampie intorno alla Terra che ha permesso di massimizzare il risparmio di energia. L’allunaggio è previsto nella vasta pianura denominata Mare della Serenità, da non confondersi con quel Mare della Tranquillità che quasi cinquant’anni or sono era il 20 luglio ’69 fu il punto di arrivo della missione americana Apollo 11, la prima a far sbarcare sulla luna un equipaggio umano composto da Neil Armstrong e Ed Buzz Aldrin.
«La nostra fortuna continua a tenere e ce la faremo», ha detto con emozione il miliardario israeliano delle telecomunicazioni Morris Kahn, uno dei finanziatori della missione. Il piccolo Stato d’Israele (8 milioni di abitanti in tutto, meno della Lombardia) tiene dunque gli occhi puntati verso il cielo e immaginiamo incrociate per l’occasione molti milioni di dita. Al tempo stesso, però, è sempre la terra a costituire motivo d’apprensione e di discussione per gli israeliani. Domani si vota e alla vigilia delle elezioni politiche il premier uscente Benjamin Netanyahu ha riaperto il tema delicatissimo della sovranità sugli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Intervistato da una tv israeliana, Netanyahu ha aperto alle attese dei nazionalisti e dei coloni affermando di non escludere affatto l’annessione unilaterale di insediamenti come quello di Maalè Adumim, che sorge alla periferia di Gerusalemme su territorio un tempo giordano e oggi palestinese occupato nel ’67.
«Chi dice che non lo farò?», ha replicato il premier uscente a chi lo intervistava chiedendogli perché non avesse proceduto all’annessione durante i 10 anni precedenti in cui ha guidato il governo. «Gli Stati Uniti ha osservato Netanyahu – hanno appena annunciato di voler riconoscere la nostra sovranità sulle Alture del Golan (territorio siriano occupato nel ’67 e annesso unilateralmente da Israele nel ’81, nda), e noi proseguiremo con la fase successiva: l’estensione della sovranità». Per completare il suo chiaro messaggio, Netanyahu ha aggiunto di essere contrario alla futura creazione di uno Stato palestinese («Un pericolo per la nostra stessa esistenza»), ha escluso di voler dividere Gerusalemme (la cui metà araba orientale è stata pure annessa 28 anni fa allo Stato ebraico), ha promesso di non evacuare alcuna comunità e ha assicurato che Israele continuerà a controllare lo strategico territorio a Ovest del Giordano.
Le sue parole hanno suscitato l’immediata accusa di irresponsabilità da parte del suo principale sfidante, il centrista Benny Gantz. E ovviamente toni ancor più duri sono arrivati dalla dirigenza palestinese: se Netanyahu manterrà le promesse fatte ieri, «dovrà affrontare un problema reale in Cisgiordania».