Libero, 8 aprile 2019
Intervista a Ultimo, ansiosissimo
A incontrarlo in situazioni informali, Niccolò Moriconi, in arte Ultimo, appare per quello che è: un ragazzo di 23 anni che vive nella semplicità delle sue idee tramutate in musica. Reduce dal duro scontro con i giornalisti a Sanremo (dove si è classificato al 2° posto), il cantante torna con il terzo album di inediti intitolato Colpa delle favole, uscito venerdì. Che colpa hanno le favole?
«Do la colpa alle favole perché non riesco a darla a me. Questo album è la conclusione della trilogia iniziata con Pianeti, dove parlavo di ciò che volevo conquistare, e proseguita con Peter Pan, dove le ambizioni iniziavano a concretizzarsi. È come la conclusione di un percorso metaforico di un bambino che cresce, matura e diventando vecchio dà la colpa alle favole per tutte le illusioni».
E che album è?
«Il più nostalgico dei miei. Qui torna la componente dell’anziano che si guarda indietro e ricorda il suo passato».
Da cosa nasce il senso di inadeguatezza che emerge ascoltandolo?
«Non mi sento mai all’altezza delle circostanze che vivo, sia a livello lavorativo che personale. Non sono mai disposto a vincere un confronto che sia con me stesso o con gli altri. A volte sono cinico, come dico in Aperitivo grezzo, nascondendo le parti sensibili e mandando avanti la parte più schietta e sincera. Ma sono una persona piena di domande».
È anche questo il motivo dello scontro con i giornalisti al Festival?
«Sì, sicuramente. A volte reagisco di pancia. Poi, non è tanto quello che uno dice ma il contesto e il come lo dice. I giornalisti? Mi amano (sorride, ndr)».
Lei scrive molte canzoni cupe. Non pensa di diventare pesante?
«Sì e credo di aver già stufato diverse persone. Non so cosa farò in futuro, ma sai che c’è? Che se un artista cambia troppo genere non ha un’identità, e se invece fa sempre la stessa cosa diventa pesante. Quindi dov’è la verità? Io sto cercando di trovare un equilibrio con canzoni che si distaccano dalle ballate».
Come Aperitivo grezzo?
«Esatto, è il pezzo che riaccende il concerto».
In un passaggio dice: «È pieno di artisti che scrivono dischi, si sentono artisti ma sono affaristi». Con chi ce l’ha?
«È una provocazione: ci sono artisti che sono più predisposti a un lato social che altro».
Ora che è famoso, teme uno sradicamento da quello che era?
«Sì perché quando intraprendi questo tipo di percorso hai diverse responsabilità. In Fateme cantà dico ad esempio che mi dà fastidio quando la gente viene a chiedermi la foto, ma non perché non mi va di farla ma perché quello scatto viene fatto solo per mostrare a tutti che sei stato con quella persona famosa. E magari manco conoscono le mie canzoni».
Per questo ha scelto di non incontrare i fan nei negozi di dischi?
«Sì, ed è una scelta atipica. Io sono benissimo che va contro le vendite, perché con questi incontri farei subito il disco di platino vendendo il triplo dei dischi. Però so che le persone sono lì per la foto, non per la musica. È una presa in giro per loro ed è svilente per me».
Insomma, ha fatto incazzare la casa discografica?
«Diciamo che non erano molto contenti della mia scelta, però per fortuna lavoro con un’etichetta indipendente (Honiro Label, ndr) dove c’è dialogo e libertà. Non mi costringono a fare le cose».
Nell’album parla anche della sua ipocondria. Come è mutata da prima del successo ad oggi?
«Che ora mi porto il dottore in tour (ride, ndr). Io ho l’ansia perché mi sento sempre stanco, ma quando hai degli impegni improrogabili te la fai passare a forza».
Lei teme i conti che le presenterà la vita?
«Sì e riconduco questo mia paura all’essere ipocondriaco. Per me non esistono piani B, ho sempre pensato che il piano B fosse una cazzata: c’è solo quello che tu vuoi fare».
Sente la responsabilità nei confronti del pubblico che la segue?
«Più verso i più grandi, che sono tanti, che verso i piccoli, perché quando parli con una persona con una certa maturità non puoi insegnargli nulla. O quantomeno io mi sentirei a disagio a farlo».
Nell’ultimo brano dell’album, lei cita suo padre e sua madre. Che genitori sono?
«Mio padre ha sempre avuto la presunzione di sapere cosa fosse la vita, io invece no. Non sono mai stato simile a lui in questo. Per mia madre provo un senso di tenerezza quando ripenso a episodi in cui l’ho delusa».
Oggi cosa dicono?
«Quando dicevo a mio padre: “Voglio fare il cantante”, si metteva a ridere. E ogni volta che esce il tema della musica cambia discorso perché non me la vuole dare vinta».
Cosa prova durante i concerti?
«È indescrivibile. Però posso dire cosa sento quando canto canzoni tristi: il dolore non passa, ma viene in qualche modo condiviso con i presenti. Questo in parte ti permette di alleviare il dolore stesso, come diceva Leopardi col concetto di compassione. Nei concerti più fai le cose semplici e intime in modo minimale, più emozioni».
Qual è il suo sogno artistico?
«Fare un disco con gli assoli di John Mayer. E se non ce la farò, beh sarà colpa delle favole».