Libero, 8 aprile 2019
Le poesie di Scalfari da ginnasiale
La sinistra italiana aveva un Leopardi barbuto ma ben nascosto nel retrobottega delle meraviglie e l’ha scoperto soltanto adesso che lui, Eugenio Scalfari, compie 95 anni e si lascia sommergere di bave trionfali e compiaciute, come ha ricordato ieri sul Fatto il suo amico (ma sempre a debita distanza) Marco Travaglio. Nel tripudio di ricordi e inchini, auguri o riconoscimenti lacrimevoli e vagamente jettatori, il nonno di Repubblica ha deciso di farselo da solo, il regalo più bello. Ha licenziato un libro di versi sciolti e ha comandato agli amici di proclamarne l’eccelsa valenza poetica. In un’epoca in cui siamo tutti un po’ poeti, perché gli autentici verseggiatori alla maniera antica sono pressoché scomparsi (resistono Patrizia Valduga e pochi altri amici delle Muse), accade dunque che «L’ora del blu» (Einaudi) diventi la raccolta di Canzoni e Idilli del momento.
MEZZO SECOLO DI SOLILOQUIO
È un capolavoro tutto personale di Scalfari, beninteso, il quale ci ha somministrato per decenni una indiscutibile qualità giornalistica alternata alle sue Operette morali distillate in romanzi dalle dubbie pretese filosofiche e dalle più sicure radici ombelicali, egoriferite, ferocemente narcisistiche ancorché godibili nella fioritura memorialistica e aneddotica. Perché Scalfari è fatto così: autointronatosi da mezzo secolo in un perenne soliloquio magniloquente, ha riversato su noi tutti i suoi fiumi di verbosa e assertiva creatività. Sicché lo dissero scrittore, saggista e polemista, quando non impegnato nelle quotidiane logomachie giornalistiche. Essendo nato venerando, Fondatore naturale e incontinente digitatore di prose, a nessuno era venuto in mente che fosse anche poeta. Fino a ieri, quando dal Parnaso goscista ha preso a rotolar giù il suo nettare verseggiato. Quale prova del suo rifulgere come araldo di sapienti parole (secondo la definzione del più modesto Pindaro), basti questa epigrafica definizione scalfariana del tempo, il tema dei temi per ogni confidente di Calliope: «Il tempo corre e non si ferma mai, / fuori e dentro di noi che lo sentiamo…». E che gli vuoi dire? A che pro ricordarsi del laconizzante Platone e del suo tempo come «immagine mobile dell’eternità»? Acqua passata.
ECCO IL SOMMO POETA
Se non credete alla nostra stupefatta ammirazione, leggete qui sotto ciò che l’emerito Alberto Asor Rosa, il palindromo critico in capo della letteratura italiana, ha scritto su Repubblica: «Questa raccolta poetica rappresenta indubbiamente una novità ma non una sorpresa nella costruzione creativa complessiva di Scalfari. Devo ricordare ed elencare i principali titoli scalfariani apparsi nel corso degli ultimi venticinque anni, già allora con un sostanziale arricchimento rispetto alla sua produzione precedente? Incontro con Io (1994), L’uomo che non credeva in Dio (2008), Per l’alto mare aperto (2010), Scuote l’anima mia Eros (2011) (tutti raccolti nel Meridiano Scalfari, 2012): come non rendersi conto che siamo di fronte a un percorso, durante il quale Scalfari ha approfondito sempre più la sua posizione filosofica ed etico-esistenziale?».
FU VERA GLORIA?
Qui si sta discettando di ben cinquantasei componimenti in cui Eugenio accede bambino a Una finestra sul mare (variante patrizia della più popolare Rotonda di Fred Bongusto?) e percorre la storia del proprio cosmo fino a prendere per la collottola Madonna Morte, sempre accompagnato da Eros e Malinconia che sono i damigelli di compagnia d’ogni autentico poeta. Nulla da eccepire a tanta gloria, sia chiaro: chi siamo noi per sindacare sul novantacinquenne prediletto dalle Muse contemporanee? Ci limitiamo soltanto a suggerire la lettura della più poetica fra le prose del nostro Leopardi calabrese, consegnata un decennio fa alla penna dell’amico Pietrangelo Buttafuoco e inspiegabilmente scomparsa da ogni raccolta ufficiale: «Il saluto romano si fa in un solo modo / Tanto per cominciare s’avanza a passo marziale / quasi un passo dell’oca / dopo di che si porta il palmo della mano aperta all’altezza degli occhi / ci s’irrigidisce e si battono i tacchi» (interpunzioni nostre). Parole di miele d’un Leopardi nascosto per coglioni manifesti.