La Stampa, 8 aprile 2019
Intervista a Johnny Rep: «L’Ajax? Bravi ragazzi»
L’Ajax giovane che ha demolito il Real Madrid e ora prova a mettere paura alla Juventus pesca energia nella propria storia. Cerca lo spirito ribelle e spavaldo degli Anni Settanta, quello di una squadra inimitabile che ha incrociato i bianconeri nella loro prima finale di Coppa Campioni. Una notte che ha lasciato strascichi, una frustrazione superata con la rivincita del 1996 e una sfida che ora torna in circolo con il fantasma di un colpo di testa. Quello di Johnny Rep, uno dei magnifici capelloni del calcio totale.
Che cosa ricorda della sua finale contro la Juve?
«Non avevamo dormito per niente, sotto il nostro albergo a Belgrado c’era il delirio. Avremmo dovuto essere nervosi solo che eravamo abituati a vincere. Passano 5 minuti e arriva un colpo di fortuna. Una deviazione scomposta, io che salto, la palla che entra. Dopo rivedo solo lo scambio delle maglie e la festa».
Nulla di quella Juve?
«Poco, ma ho ben in testa altre Juventus: avranno pure perso sette finali ma ne hanno giocate nove. Sempre ad alto livello con punte di eccellenza. Forse il mio nome è legato alla tradizione negativa, la prima grande delusione, ma allora noi stavamo semplicemente su un altro pianeta rispetto a chiunque altro».
Questo Ajax può evocare quei tempi, almeno in qualche dettaglio?
«No, sono bravi ragazzi, alcuni hanno talento vero, è un’ottima squadra che nel futuro potrebbe diventare importante. Noi però eravamo eccezionali».
Inarrivabili quindi?
«Non può risuccedere. Non c’è più stata e non ci sarà mai una squadra che gioca e vive così. Poi questo Ajax delle belle speranze lo smonteranno. Ora i pezzi pregiati non reggono da quelle parti. Noi... eravamo l’Olanda».
L’Olanda perfetta che non ha mai vinto un Mondiale.
«Nel 1974 ci siamo dimenticati di vincerlo, ci stavamo divertendo e non abbiamo realizzato che era tempo di segnare».
Pensa ancora alla finale con la Germania dell’Ovest?
«Sì, so con certezza di aver avuto la palla che poteva cambiare il destino e di averla mancata. E so che dopo aver sbagliato quel gol non mi sono preoccupato. Eravamo certi di poter cambiare risultato in qualsiasi momento».
Poi il 1978, l’Argentina e altra sconfitta.
«No, quella non la potevamo vincere, forse non avremmo proprio dovuto giocarla. Prima della partenza se ne era parlato. L’opinione pubblica era contraria... Non abbiamo avuto la forza di stare a casa, erano i Mondiali, noi eravamo bellissimi, giocare era uno sballo e non potevamo resistere».
Sapevate che cosa stava succedendo in Argentina?
«Sì, lo sapevano tutti, magari non delle torture ma il regime non si nascondeva di sicuro. Avevamo i militari in albergo, gente in divisa davanti alla porta. Era l’antitesi della mia vita. Un’atmosfera pessima che ci ha condizionato».
Avete rifiutato la medaglia per il secondo posto.
«Ce lo eravamo detti subito. Comunque vada nessuna festa. Non avremmo alzato la Coppa nemmeno se l’avessimo vinta».
Chi lo decise?
«Fin dal volo da Amsterdam eravamo a disagio, in Argentina il fastidio non ha fatto che aumentare. Non c’è stato bisogno di proclami, nello spogliatoio ci siamo guardati e sono bastate due parole. Niente celebrazioni, era sicuro».
La migliore partita della sua carriera.
«La più cattiva: Olanda-Brasile del 1974. Quando ci ripenso mi dà ancora la scossa».
Capelli lunghi, spirito alternativo, creatività: eravate l’essenza degli Anni Settanta?
«Eravamo i Beatles del calcio. Ci adoravano e noi non giocavamo mai contro qualcuno: facevamo la nostra musica, mettevamo in campo il nostro stile».
Oggi Ronaldo è una rock star?
«Sì, è un fenomeno. Sposta, decide, fa la differenza, ma noi eravamo un gruppo di gente che ci sapeva fare. L’impatto era ben diverso».
L’Olanda, come l’Italia, ha saltato il Mondiale e ora provano entrambe a ripartire dai ragazzi.
«Che miseria. Per noi è stato un incubo, non so neanche quanti ct abbiamo cambiato, cinque in quattro anni? Patetici. Questi ventenni dell’Ajax ridanno un po’ di carica. Le svolte generazionali sono sempre interessanti».
La Juve ha in rosa Kean, classe 2000.
«Non lo conosco».
Cinque gol nelle ultime cinque partite, ha dovuto far fronte ai buuu razzisti. Il vostro calcio non aveva questo problema?
«Era un calcio libero, lì non entrava la politica, il malessere, figuriamoci i cori idioti. Era pure un altro mondo, oggi gli stadi sono portatori neanche tanto sani di tensioni sociali ».
Lei ha giocato con Cruyff e con Platini, al Saint Etienne. Due leader?
«Due fuoriclasse: Cruyff era un leader, Platini no. Era giovane, ma non credo che gli interessasse guidare il gruppo. Il suo rapporto con il pallone era privato. Preferiva lasciare ad altri il comando. Cruyff era speciale e carismatico. Sapevo sempre dove stava, senza bisogno di vederlo. Ecco, quella sincronia era una meraviglia».
Vedrà Ajax-Juventus in tv?
«No, sarò allo stadio, ormai sto poco a casa, di solito vivo in Spagna, a Torremolinos, vicino a Malaga, dove mia moglie ha un ristorante. Ma noi glorie del 1973 siamo stati invitati ufficialmente».
Ci andrete tutti?
«Sei sono morti. Di sedici giocatori ne restano dieci, non li ho sentiti ma mi auguro di vederli in tribuna: tutti con i capelli corti o senza capelli. Il tempo passa troppo velocemente».