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 2019  aprile 08 Lunedì calendario

La borghesia mafiosa condiziona la sanità

Fatture per servizi e forniture pagate due o tre volte per un valore che potrebbe avvicinarsi al mezzo miliardo di euro. Medici, infermieri e dirigenti condannati per associazione mafiosa e altri reati, interdetti dai pubblici uffici ma regolarmente stipendiati, in un caso per ben 10 anni. Come Alessandro Marcianò, il caposala dell’ospedale di Locri, retribuito per oltre un anno nonostante gli fosse stato inflitto l’ergastolo come mandante dell’omicidio del vicepresidente del Consiglio regionale calabrese, Franco Fortugno. 
E ancora: medici condannati, promossi e risarciti per mobbing, bilanci non approvati dal 2013, sistematica assenza di controlli e di budget per le prestazioni acquistate dai privati, informativa antimafia sostituita con l’autocertificazione, che ha consentito a imprese interdette di continuare a lavorare indisturbate. 
I documenti pieni di “omissis”
Un esempio su tutti. Il 19 febbraio la Procura di Reggio Calabria emette un’interdittiva antimafia nei confronti della ditta che da anni si occupa del lavaggio della biancheria della Asp, l’azienda sanitaria provinciale reggina. Ma i vertici dell’azienda autorizzano la prosecuzione del servizio con la ditta in odore di ‘ndrangheta per «ragioni di necessità, urgenza e indifferibilità del servizio». Benvenuti a Reggio Calabria, Italia. A scorrere la relazione (coperta da numerosi “omissis”) della Commissione di accesso, l’epicentro della mafia bianca è la Calabria. Relazione portata nei giorni scorsi al commissariamento per mafia della Asp reggina. Occorre, però, allungare lo sguardo verso Nord, dove la magistratura, soprattutto in Veneto e Lombardia, ha svelato l’intreccio tra ‘ndrine e sanità. Già due anni fa la Direzione antimafia, nella sua relazione annuale, aveva lanciato l’allarme, citando una serie di inchieste giudiziarie, da Nord a Sud, per denunciare che «senza sparare un colpo di arma da fuoco, gli imprenditori delle mafie sono entrati nelle Asl, nei Comuni e negli ospedali». E «nel distretto di Milano», si legge nello stesso documento, «sempre più spesso si riscontra la presenza di figure riconducibili al paradigma della borghesia mafiosa, canale di collegamento tra la società civile e la ‘ndrangheta, nella quale rientrano funzionari, imprenditori e politici, ma anche medici».
Un metodo che in Calabria ha fatto scuola, come dimostra la relazione del Prefetto di Bari che accompagna il provvedimento con il quale è arrivato il quarto scioglimento per mafia di una Asl calabrese (dal 1989 ad oggi). Nel documento si sottolinea come le recenti operazioni di polizia giudiziaria attestino «la forte capacità di penetrazione dei sodalizi mafiosi economico e sociale, mettendo in luce sia l’accentuata propensione delle organizzazioni ‘ndranghetiste a ingerirsi ne settore della sanità pubblica, al fine di orientarne la gestione delle risorse finanziarie a proprio vantaggio, sia il ruolo di affiliati o di fiancheggiatori svolto da taluni operatori di quel settore nei confronti delle consorterie territorialmente egemoni».
Ombre di massoneria deviata
Quello che emerge dalle indagini sulla sanità reggina è solo un tassello del malaffare sul quale stanno cercando di far luce il commissario governativo, il generale dell’Arma Saverio Cotticelli e il sub commissario di origini teutoniche Thomas Schael. Lavoro al quale si aggiungono le inchieste giudiziarie, che finiscono però per arrivare spesso a tempo scaduto a processo, perché, come denunciato nelle opportune sedi dal procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, da anni, in Calabria, arrivano pubblici ministeri ma non si assumono giudici per le indagini preliminari , ossia i magistrati che devono poi decidere i rinvii a giudizio. 
Quello che emerge dalle indagini è un nuovo modus operandi delle ‘ndrine. Fatto di legami forti, ma mediati dalla “massoneria deviata”, con il mondo dei colletti bianchi. Quello di amministratori pubblici e professionisti sanitari. Poi ci sono le famiglie di imprenditori che controllano la sanità privata, ognuna con i suoi punti di riferimento politici. Come i Greco, coinvolti in un’inchiesta della Procura di Castrovillari, che giorni fa ha fatto scattare gli arresti domiciliari per il sindaco di Cariati, Filomena Greco, suo fratello Saverio e un dirigente amministrativo che avrebbe firmato il permesso a costruire in sanatoria una clinica, proprietà della famiglia con un piede nella sanità e uno nella politica.
La voragine nei conti 
È la gestione opaca ad aver poi generato la voragine nei conti, tanto che lo scorso anno il deficit sanitario ha superato il gettito fiscale dell’intera Calabria. Perché, mentre le altre regioni in piano di rientro azzeravano le loro perdite, in Calabria il disavanzo passava dai 30 milioni del 2014 ai 168 del 2018. Con questi numeri i manager al vertice delle Asp sarebbero dovuti andare a casa, come prescritto dalle leggi di Bilancio dal 2007 in poi. E invece sono stati premiati con 50-60mila euro di bonus. Tutto questo a fronte di bilanci redatti senza contabilità analitica. Che è come dire non sapere quanto e cosa si sta pagando. Altrettanto opachi sono gli appalti. Soprattutto quando in ballo c’è la torta da centinaia di milioni per la costruzione dei quattro nuovi ospedali a Gioia Tauro, Vibo Valentia, Corigliano Rossano e il “Nuovo Annunziata” di Cosenza. I commissari di Governo hanno ricostruito venti anni di un’altalena di gare, vinte da società poi fallite, che hanno lasciato il posto ad altre imprese ugualmente finite in bancarotta, senza che degli anticipi si trovasse più traccia. 
Business edilizio in ospedale
Tre le società incaricate di costruire i nuovi ospedali calabresi figura anche quella in house della regione Lombardia “Infrastrutture lombarde”, che si è accaparrata un appalto da 480 milioni con una procedura sulla quale la Procura di Catanzaro ha aperto un’inchiesta. 
L’Avvocatura regionale ha avviato una verifica per valutare se esistano gli elementi che consentano di iniziare azioni risarcitorie per i gravi errori che sarebbero stati commessi in fase di progettazione. Che il pozzo nero della malagestione sia una manna per i privati lo dimostra anche l’inchiesta avviata dalla Questura di Crotone su una presunta truffa della clinica privata Villa Gioise ai danni della regione. All’interno della struttura i pazienti avrebbero pagato in nero prestazioni e interventi chirurgici rimborsati dal servizio sanitario regionale. C’è poi la piaga degli affidamenti diretti senza gara di forniture e servizi «anche al di fuori dei casi previsti dalla legge». Ad esempio, nel settore delle manutenzioni sono emersi «stretti collegamenti tra elementi degli ambienti malavitosi locali e titolari di ditte beneficiarie di affidamenti diretti, due delle quali interdette per mafia», rimarca la relazione della Commissione che ha indagato sulla Asp di Reggio. Alla Asp di Cosenza, invece, anche i debiti del pubblico diventano un business. Come quello che avrebbero scoperto i commissari di governo nel contenzioso che si trascina da anni con una ditta fornitrice. La Asp avrebbe dovuto pagare 10 milioni, ma pur avendo liquidità in cassa ne avrebbe saldati solo 6,5. Lasciando che il resto, grazie a interessi di mora dell’8% l’anno, lievitasse a 17 milioni: 7 in più rispetto alla somma inizialmente dovuta, incassati senza dover muovere un dito. Di questa malagestione è poi figlia la malasanità calabrese.
Maglia nera per qualità di cure
La Calabria risulta essere ultima in fatto di garanzia dei livelli essenziali di assistenza in Italia. Prima per numero di migranti della salute ma ultima per donazioni di organi, poiché mancano i reparti di rianimazione attrezzati per gli espianti. La Calabria è ultima anche per screening oncologici e i suoi ospedali sono spesso un manifesto del degrado. Come quello di Locri, dove sette medici del pronto soccorso devono fronteggiare 45mila accessi l’anno, tanto che i codici di urgenza vengono assegnati senza nemmeno aver rilevato i parametri vitali. A giorni Reggio Calabria ospiterà un Consiglio dei ministri straordinario, per approvare il decreto che assegnerà poteri altrettanto straordinari ai commissari fortemente voluti dal Ministro della salute, Giulia Grillo, nonostante le forti resistenze politiche locali. 
I direttori generali delle Asp inadempienti potranno essere rimossi immediatamente, sarà obbligatoria la vigilanza collaborativa dell’Anac. Per appalti e servizi ci si dovrà avvalere esclusivamente della Consip e di centrali di acquisto di altre regioni, mentre per gli enti in dissesto scatterà la gestione straordinaria. Un’azione di bonifica che, per essere efficace, avrà bisogno anche di una macchina giudiziaria messa nelle condizioni di iniziare e chiudere i processi.