La Stampa, 8 aprile 2019
Rossi-Doria: «Alla scuola servono i figli dei migranti»
Marco Rossi-Doria è nato a Napoli
Lo squilibrio demografico è un danno economico per l’Italia», avverte Marco Rossi-Doria, maestro di strada, sottosegretario nei governi Monti e Letta, ex assessore all’Istruzione in Campidoglio.
Il prossimo anno ci saranno 70 mila studenti in meno. Quali effetti provocano le scuole che si svuotano?
«Il crollo delle nascite richiede politiche sociali per compensare le drammatiche differenze sul territorio. E invece il governo accelera sull’autonomia e ciò significa che le Regioni che più hanno bisogno di scuola e welfare ne avranno di meno. Più è povera la popolazione e meno tasse riscuote una regione. In Costituzione c’è il contrario».
In che modo l’autonomia danneggia l’istruzione?
«Lo Stato ha l’obbligo costituzionale di rimuovere gli ostacoli economici e sociali che impediscono l’eguaglianza dei cittadini e il pieno sviluppo della persona umana. La Repubblica è una e invece con l’autonomia il divario tra zone ricche e povere aumenterà e diventerà incolmabile».
Dal 2015 sono stati persi 188 mila alunni. È un’emergenza solamente italiana?
«In Italia la situazione è più grave che nel resto d’Europa. Da noi bambini sotto i 14 anni sono appena il 13,1% della popolazione. Per ogni cento abitanti con meno di 14 anni ce ne sono 172,9 che ne hanno più di 65. La media europea è 96, cioè quasi la metà».
È sempre andata così?
«No. Quando frequentavo le medie nei primi anni 60, per ogni ragazzino della mia generazione c’erano 40 over 65, oggi sono più del quadruplo. Ad aggravare il quadro italiano è squilibrio tra aree urbane e quelle interne. Nelle prime resistono tutte le classi di età della popolazione, nelle seconde ci sono sempre meno bambini. Nelle zone alpine, appenniniche e nel Centro Italia colpito dal terremoto le sezioni scolastiche si sono dimezzate in pochi anni e vengono chiuse le scuole. In Comuni piccoli e anche medi è da due decenni che non si riescono a formare le classi».
Quali sono le alternative?
«C’è stato il gruppo di discussione sulle aree interne che ha proposto che quattro, cinque municipi si mettano d’accordo per individuare una zona condivisa, facilmente raggiungibile dagli alunni, per allestire istituti scolastici che servano anche da centri sportivi e laboratori creativi per l’aggregazione giovanile. Stiamo parlando di un terzo del territorio nazionale, non di rare zone di campagna».
Si sono fatti passi avanti?
«No, anzi. Si attaccano in modo strumentale i migranti malgrado siano loro a riempire di figli le classi. Senza questa riduzione del crollo demografico, lo svuotamento delle scuole sarebbe pauroso. Il nostro sistema dell’istruzione ha retto bene alla globalizzazione. Negli ultimi 15 anni siamo passati da 50 mila a 820 mila alunni stranieri, il 10% del totale».
Non esiste un problema di integrazione negli istituti?
«No. Più della metà di questi 820 mila studenti stranieri è già arrivato alle medie. Hanno imparato tutto in italiano e sono una risorsa indispensabile per riequilibrare le nostre risorse umane. La vera emergenza è lo squilibrio demografico tra le generazioni. Un Paese sempre più vecchio è condannato a impoverirsi».
Prevede un taglio drastico al numero delle cattedre?
«Finora le cattedre non sono diminuite e i livelli occupazionali degli insegnanti non sono stati intaccati. Semmai il problema è appunto il futuro che si annuncia perché se verrà attuata l’autonomia la ripartizione delle risorse economiche andrà a danneggiare proprio le Regioni più disagiate. Demagogia e uso strumentale della questione demografica sono il contrario di ciò che ci serve».
Anche i sindacati hanno le loro responsabilità, quindi?
«Fanno bene a difendere i livelli occupazionali perché viviamo una crisi educativa e abbiamo bisogno di una forte presenza di guida adulta nelle scuole. Qualche volta in passato si è gridato alla scure in arrivo e non era così. Per esempio c’è stata una polemica pretestuosa sugli insegnanti di sostegno. In realtà il sostegno alle disabilità e ai bisogni educativi speciali rimane un fiore all’occhiello dell’Italia che per questo è stata elogiata dall’Ocse e dall’Ue. Nessun altro Paese spende quattro miliardi di euro all’anno per inserire nella scuola 220 mila bambini in difficoltà. I tagli di cattedre non ci sono stati. Ora temo di più però».