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 2019  aprile 08 Lunedì calendario

Sì al concerto di Jovanotti in cima alla montagna

di Cristina Nadotti Roma L’approvazione per il concerto di Jovanotti in alta montagna arriva dagli ambientalisti. A contrapporsi alle perplessità di Reinhold Messner, che ieri su Repubblica ha parlato di «evento senza senso dove si cerca il silenzio» ci sono le osservazioni del Wwf: «La zona che sarà interessata dal concerto di Plan de Corones è già fortemente antropizzata e modellata in base alle esigenze del turismo di massa – precisa l’associazione ambientalista – abbiamo a cuore la conservazione degli habitat naturali più delicati e abbiamo chiesto agli organizzatori del” Jova Beach Party” che in ciascuna tappa siano rispettati i criteri più rigorosi, a partire da approfondite valutazioni di incidenza». Il Wwf ricorda poi di aver chiesto, e ottenuto dal cantante, lo spostamento della data prevista a Torre Flavia a Ladispoli, dove il concerto avrebbe messo a rischio la nidificazione di una specie rara di uccelli. A Plan de Corones non ci sono ecosistemi da preservare, è la tesi del Wwf, poiché il concerto si terrà in un punto dove gli impianti di risalita, nei periodi di alta stagione in estate, trasportano già oltre 3mila persone al giorno. Gli ambientalisti aprono poi una piccola polemica, puntualizzando che ben altra cosa sarebbe usare parchi naturali come quelli di Fanes- Sennes- Braies o delle Vedrette di Ries, dove però ci sono «ripetuti tentativi di aprire la caccia anche a specie protette». Favorevoli al concerto anche associazioni di albergatori e gestori degli impianti. «Il concerto sarà una festa, in un contesto particolare – dice Andrea Del Frari, direttore di Skirama – Plan de Corones non è una montagna come le altre. Non lo è almeno da più di 50 anni. La crescita del turismo legato allo sport, in particolare agli sport invernali – continua – ha fatto sì che si sviluppasse una vera e propria economia attorno alla montagna, su tutti i versanti». Del Frari ricorda poi che tra gli investimenti fatti per lo sviluppo turistico della zona ci sono anche «due musei, legati proprio al mondo della montagna. Uno di questi – precisa – costruito dal Consorzio impianti ma dato in gestione a Reinhold Messner, è un’attrazione per la gran parte dei turisti che arriva in cima durante i mesi estivi». Favorevoli anche gli albergatori della zona, che vedono nella data scelta da Jovanotti, il 24 agosto, una possibilità di allungare la stagione e pubblicizzano il concerto sui loro siti. «È una opportunità importante, anche se in agosto in genere le prenotazioni non mancano – dice Renate Winkler, la cui famiglia è proprietaria di quattro hotel – ci sembra molto bello che un tale evento arrivi anche qui».•Intervista a Cognetti di Maria Novella De Luca
ROMA «Jovanotti dovrebbe fare un passo indietro, lasciare respirare la montagna e rispettare il silenzio. Pensate che impatto devastante potrebbero avere dieci, ventimila persone o ancora di più sul Plan de Corones. Stimo molto Lorenzo Jovanotti, sono sicuro che capirà il senso dell’appello di Reinhold Messner. Un appello che naturalmente condivido. La troppa folla sta uccidendo le montagne». Sa di avere un pensiero “estremista” sulla salvaguardia delle nostre vette, Paolo Cognetti. Scrittore e camminatore, 41 anni, esploratore alla perenne ricerca di alture ancora intatte e di sempre più rari luoghi della quiete. Premio Strega nel 2017 per il romanzo “Le otto montagne"(Einaudi), delicata storia di un’amicizia tra ragazzi nei paesaggi del Monte Rosa, ha pubblicato nel 2018 “Senza mai arrivare in cima"(Einaudi), cronaca di un viaggio in Nepal e dell’incontro con l’Himalaya. Cognetti, il Plan de Corones è già una montagna altamente “antropizzata”. In che modo il concerto di Jovanotti potrebbe danneggiarla? «È una questione di misura. La montagna si consuma. Ha un ecosistema fragile. E il fatto che sia già consumata dagli impianti sciistici, dai troppi alberghi, non è certo una giustificazione per portare lassù una fiumana di gente. Noi dobbiamo togliere, non aggiungere». Lei quindi consiglia a Jovanotti di evitare il Plan de Corones. «Certamente. Farebbe una cosa saggia». Cosa vuol dire “togliere”, parlando della montagna? «Decostruire. Tornare indietro. Smantellare impianti pensati per far salire e scendere migliaia di persone». Mica facile. Gran parte delle nostre montagne vive di turismo. «Sì, ma oggi l’unica strada è il turismo sostenibile. Avete visto quanti impianti abbandonati, hotel chiusi e case sfitte ci sono in ex stazioni sciistiche dove non va più nessuno?». Troppo costose? «Non ci sono più soldi e non c’è più la neve. Viviamo una crisi economica e ambientale insieme. Tra qualche anno, su cime come il Plan de Corones, al di sotto dei 2.500 metri, di neve ce ne sarà pochissima, ci sarà soltanto pioggia. Abbiamo invaso la montagna in un momento in cui ci sembrava giusto, adesso dobbiamo smontarla». E come? Mettendo il numero chiuso? Vietando nuovi impianti? «Una funivia ha lo stesso impatto ambientale disastroso di un’autostrada. Certamente non servono nuovi impianti, ma soprattutto serve un altro modo di vivere la montagna». Faccia qualche esempio. «Non solo sci da discesa, che è il più devastante di tutti, ma lo sci alpinismo. Corsa o bici. Tutti sport che insieme al camminare passano per la montagna e la lasciano così com’è». Insomma, ci vuole fatica. «La montagna vera è selezione. Se chiunque può salire sui ghiacciai, grazie a seggiovie sempre più inquinanti, si snatura tutto». Lei vive buona parte dell’anno in Val d’Ayas, dove organizza il festival “Il richiamo della foresta”. Anche i partecipanti del suo festival, come per Jovanotti, lasceranno tracce. «È vero, ma noi siamo al massimo in cinque o seicento ogni giorno. Se diventassimo troppi credo che tornerei indietro. E poi si alloggia in tenda, abbiamo eliminato la plastica, usiamo soltanto materali biodegradabili». Nei suoi libri parla spesso dei luoghi del silenzio. Bisogna andare sull’Himalaya per trovarli? «No, bastano le nostre meravigliose Alpi. Ma ci vuole tanta fatica per conquistare quella pace».