La Stampa, 7 aprile 2019
Uccide amico per gioco
C’erano ragazzini che andavano in giro con la pistola in tasca nel centro di Alghero. La voce si era già sparsa, era arrivata anche alle forze dell’ordine e tra i giovani che frequentano ogni sera le piazzette del centro tutti sapevano che quelli armati potevano essere soggetti pericolosi. Da rispettare e non provocare. Lo dicevano loro stessi e qualcuno dei ragazzi che ora osserva la scena del delitto lo racconta a bassa voce: «Dicevano che gli sgarri si pagano». Ed è successo davvero, forse per una prova di forza che doveva concludersi come una minaccia molto pesante e che invece è finita in tragedia. Alberto Melone e Lukas Saba, entrambi diciottenni da poco, erano amici e venerdì sera erano insieme ad altri ragazzi in un piccolo appartamento nel centro della città. Vicino al teatro, non lontano dai bastioni, tra quelle stradine che con la bella stagione sono piene di turisti e bancarelle.
Quello che è successo non è ancora chiaro del tutto. Di certo, c’è questo: la pistola che Lukas Saba aveva in tasca ha esploso un colpo per davvero e Alberto Melone (che lavorava nel bar di famiglia) è morto all’istante, fulminato dalla pallottola che gli si è piantata nel collo. L’allarme è stato lanciato subito e il primo racconto fatto ai carabinieri si è sgretolato dopo poche ore. All’inizio, infatti, si era parlato di uno sconosciuto arrivato all’improvviso in quella casa, ma gli inquirenti hanno capito quasi subito che tanti passaggi non tornavano. Hanno portato in caserma Lukas Saba e dopo alcune ore è stato lui stesso a crollare e a svelare tutti i particolari di quel gioco finito drammaticamente. Lui dice che è stato solo un errore, ma per il momento l’accusa nei suoi confronti resta quella di omicidio volontario.
Già finiti nei guai
Alberto e Lukas erano quasi sempre insieme e insieme erano già finiti nei guai qualche tempo fa. Con loro, venerdì sera, c’erano anche altre due persone. E dalle loro testimonianze i carabinieri sperano ora di riuscire a ricostruire esattamente la dinamica dell’accaduto. Le domande sono tante: è stato davvero un gioco o un litigio finito peggio di quanto non si pensasse? Qual era il motivo del contendere? Ma la domanda più importante riguarda l’arma: come mai un diciottenne andava in giro a fare il bullo mostrando una pistola? A cosa serviva questa prova di forza? «In questa città – dice un altro ragazzo che passa la mattinata di fronte al teatro – accadono scene che si vedono solo a Suburra».