La Stampa, 7 aprile 2019
Netanyahu minaccia la Cisgiordania
È l’ultimo shabbat prima del voto. Gerusalemme si sente a un bivio. Nella Città Vecchia gli uomini vestiti di nero, con i cappelli dalle larghe falde, e i talit, gli scialli per la preghiera dalle frange bianche, si affrettano a scendere le scale verso il Muro del Pianto, prima che imbrunisca. Poche centinaia di metri più in là, nel quartiere arabo, un negoziante ha chiuso a metà la saracinesca e prega accovacciato. Le strade si svuotano, una compagnia di turisti americani chiede indicazioni per il Santo Sepolcro. Cala una malinconia carica di incertezza.
«Ci dà maggiori garanzie»
Benjamin Netanyahu ha fortificato la Gerusalemme ebraica, con i grandi insediamenti che ormai la circondano anche a Est, e soprattutto con il riconoscimento da parte di Donald Trump che questa è la capitale dello Stato ebraico. È il suo più grande successo, che gli porterà anche una parte dei voti religiosi. Gli ultra-ortodossi non parlano volentieri, «è shabbat», ma alla fine accettano, purché non si prenda appunti. «Voteremo quello che ci dirà il rabbi», spiegano. Lior Kohen, un giovane di 20 anni, ancora indeciso su quale facoltà intraprendere, si lascia andare. «Voterò Netanyahu – spiega – soprattutto dopo che ha ottenuto lo spostamento dell’ambasciata. Per noi è importante. Certo, è da vent’anni che governa e non è perfetto. Ma è quello che dà le maggiori garanzie». E i palestinesi? «Che problema c’è? Mia sorella è ingegnere e lavora con gli arabi. In un modo o nell’altro convivremo».
«Amico di Trump e Putin»
Ne sono convinti molti altri. «Bibi» è da troppi anni al potere, qualche marachella l’ha fatta, ma alla fine rassicura, non abbandonerà «neppure un insediamento», è amico di Trump ma «anche di Putin, che ci ha ridato le spoglie di un nostro soldato, un segno di rispetto», e troverà anche una soluzione con gli Stati arabi. Il premier, in ultimo colpo elettorale, ha promesso di annettere parti della Cisgiordania, «nel mio prossimo mandato». Ne è convinto anche Khaled Katib, 51 anni, gerosolimitano «da 12 generazioni», due negozi nella Città Vecchia. «La gente vuole uomini di polso – ragiona -. Benjamin è l’ultimo, dopo che la vecchia generazione dei Rabin, degli Shamir se ne è andata. Voteranno per lui». Katin invece non andrà ai seggi. «Potrei, sono palestinese e cittadino israeliano – spiega -, ma alla fine il mio voto non conta nulla. Che fine faremo noi palestinesi lo decideranno gli americani. Ma attenzione, qui sono caduti tanti imperi. Gerusalemme è eterna». Dal tetto dell’edificio che ospita la gioielleria si vede l’oro della Cupola della Roccia, campanili e minareti e, sotto, «il tracciato della antiche vie romane».
Ostaggio dei religiosi
L’armonia accogliente delle mura e delle strade in pietra bianca è stata preservata anche nella Gerusalemme moderna, nata dall’intuito del sindaco Teddy Kolen. La zona pedonale di Mamila, Giaffa Street, la mattina del sabato, sono vuote. Per trovare qualcuno che dica «voterò Gantz» bisogna camminare fino a Zion Square, dove un gruppo di ragazzi si esercita con gli skateboard sulle panchine. Vengono da Tel Aviv. Mayan («Significa sorgente») ha 26 anni e si è trasferita due anni fa nella metropoli sulla costa. L’unica cosa che conta «è liberarsi di Bibi», perché «è ostaggio dei partiti religiosi e stanno rovinando il Paese: guarda oggi, c’è pieno di turisti e neanche un ristorante aperto, ma si può?». Voterà per Gantz, «è l’unico che ha qualche chance».
Gli ultimi sondaggi danno il Likud di Netanyahu e il Kahol Lavan (Bianco e Blu) del generale appaiati con 28 seggi a testa. Ma la coalizione di centrodestra di Netanyahu è accreditata di 66 seggi su 120, più che sufficienti. La miriade di partiti religiosi alla fine sarà decisiva. Hanno le loro roccaforti negli insediamenti ma hanno preso piede anche in quartieri residenziali una volta laici e «intellettuali» e snob, come Ain Karem. La valle a pochi minuti di macchina dal centro è un paradiso di oliveti e vigneti. Attorno alla chiesa di San Giovanni Battista, fra le stradine che scendono ripide è un brulicare di locali, tutti aperti, shabbat o non shabbat. Ci sono tante famiglie, venute a pranzare e passeggiare nell’aria ancora fresca di aprile. Sono quasi tutti per Bibi, con qualche giovane madre che voterà per Ayelet Shaked, candidata assieme all’ex ministro dell’Educazione Naftali Bennet.
I più convinti sostenitori di Netanyahu sono un gruppo di ebrei iraniani arrivati in Israele una decina di anni fa. «Appena in tempo – racconta Eli Jamili, che ora lavora nel marketing -. Adesso là la crisi è durissima, tutti vogliono scappare, le sanzioni fanno male alla gente ma è l’unico modo per cambiare regime, e Bibi l’ha capito prima di tutti».