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 2019  aprile 07 Domenica calendario

L’anno prossimo settantamila alunni in meno a causa del calo demografico

Quasi settantamila alunne e alunni in meno nelle aule italiane da settembre. Domani sera alle 19 al Miur il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti avrà davanti i sindacati della scuola e alcuni dati per nulla confortanti come questo. Il ministro dovrà esaminarli per decidere l’organico del prossimo anno, che i rappresentanti dei lavoratori temono di vedere ridimensionato, ma sarà anche l’occasione per affrontare un tema di enorme impatto sociale per l’Italia.
Il calo degli iscritti al prossimo anno è un indice di sconfitta per tutti e, in particolare, per un governo che sostiene di voler aiutare le famiglie. «È il frutto del normale andamento demografico che risente dei periodi di crisi economica e poi si riflette sulla popolazione scolastica. Alla luce di questo, stiamo valutando di aprire un dialogo per rivedere i parametri sulle autonomie scolastiche in maniera più tarata sul territorio», commenta il ministro.
Il futuro
Dalle tabelle sulle iscrizioni risulta che al prossimo anno si sono iscritti 69.256 studentesse e studenti in meno, un calo dello 0,9% che assume dimensioni diverse se si considera l’andamento degli ultimi tre anni, in diminuzione costante e crescente. Oltre 45mila in meno nel 2016/17 rispetto all’anno precedente. Altri 67.754 in meno nell’anno successivo e 75.215 quest’anno scolastico rispetto al precedente. In totale si sono persi 188.583 alunne e alunni nei quattro anni scolastici a partire dal 2015/16, con un calo del 2,4%.
E in futuro non si intravedono segnali di miglioramento. Anzi. Le altre tabelle all’esame del ministro e dei sindacati mostrano un calo di 369.057 studenti nei prossimi cinque anni in tutt’Italia, quasi quanto una città come Bologna o Firenze.
Se andiamo a vedere i dati regionali, il calo è più evidente al Sud e un po’ minore al Nord ma c’è una sola regione dove di anno in anno non si assiste a una diminuzione delle alunne e degli alunni presenti in classe, è l’Emilia Romagna, che a settembre porterà 1484 alunne e alunni in più nelle sue aule.
Il record negativo spetta alla Basilicata dove da settembre entreranno nelle aule 1742 studentesse e studenti in meno, un calo del 2,23%, in Calabria 5418 con un calo dell’1,96%, in Puglia 11.202 in meno con un calo dell’1,91% e in Campania altri 15.535 in meno con un calo dell’1,77%. In totale nelle regioni del Sud si perdono 48.570 alunne e alunni, il 70% del totale italiano.
Lo scenario
Nei prossimi cinque anni a sedersi in classe saranno 202.593 giovani in meno al sud, il 54,75% del totale italiano. Questo vuol dire che in futuro la demografia diventerà sempre di più un problema anche per le regioni del nord.
«Il Sud si sta avviando alla desertificazione – commenta Maddalena Gissi, segretaria generale Cisl scuola – ma in tutt’Italia ci troviamo di fronte a un calo senza precedenti. Vogliamo capire che cosa intende fare il governo. Mancano le politiche per la famiglia, le politiche sociali e i sostegni per garantire alle coppie che stanno costruendo il loro nucleo la possibilità di andare oltre il primo figlio. Appaiono in difficoltà anche regioni come Piemonte, Lombardia o Veneto, tradizionalmente più ricche. L’unica a resistere è l’Emilia Romagna per la capacità di fare rete dei servizi sociali e di fornire sostengo alla donna che lavora».
Pino Turi, segretario generale Uil Scuola: «Incontreremo il ministro e speriamo che il governo colga l’occasione per mantenere il finanziamento allo stesso livello di quest’anno in modo da permettere alla scuola di rifinanziarsi e agli insegnanti di mantenere il livello di retribuzione. Siamo all’ultimo posto nel livello dei salari tra i Paesi Ue e il governo ha il coraggio di proporci l’autonomia differenziata, che non è altro che un modo per realizzare ulteriori risparmi».
Dall’incontro di domani, insomma, i sindacati chiederanno garanzie per gli insegnanti e per l’intero sistema. Maddalena Gissi: «In quella sede capiremo davvero chi è il ministro, se ha ottenuto impegni da parte del premier per assegnare finalmente alla scuola il suo ruolo naturale di volano per la crescita dell’Italia». In caso negativo? Già proclamato lo sciopero generale il 17 maggio, dieci giorni prima delle elezioni europee.

Danilo Guerretta
Il Veneto è - al Nord - la regione più penalizzata dal crollo delle iscrizioni, un’emorragia senza precedenti: gli iscritti in prima elementare per il prossimo anno scolastico sono 5.591 in meno rispetto all’anno in corso. La provincia più colpita è Vicenza (- 1218 alunni), seguono Treviso (- 1019) e Verona (- 993).
Numeri impietosi dovuti al calo demografico e alla diminuzione degli studenti stranieri. Quest’ultimo dato è in linea con le statistiche dell’ Istat relative alle presenze di immigrati in Veneto, che evidenziano come dal 2014 al 2018 gli stranieri siano diminuiti di 26.728 unità. «Molte famiglie extracomunitarie sono tornate nei paesi di origine o sono emigrate in altri stati europei a causa della lunga crisi che ha investito anche il Nord Est – spiega Marta Viotto, responsabile settore scuola della Cgil del Veneto - . Ci sono anche coppie residenti da molto tempo che non sono più in grado di avere figli».
Numeri alla mano, le classi a rischio sono 290 e i genitori cercano di salvarle andando a caccia di nuovi iscritti.
I manifesti
Come è accaduto ad esempio a Corte di Piove di Sacco, in provincia di Padova, dove la prima elementare ha solo dieci bambini, le mamme hanno tappezzato di manifesti i paesi limitrofi per convincere le famiglie a trasferire i figli: «Basterebbero tre nuove iscrizioni per far partire la classe», spiega una rappresentante dei genitori. Il sindaco ha promesso un bus gratuito per accompagnare a scuola chi arriva da lontano, tutto il paese si è trovato sul piazzale della scuola per circondare l’edificio con un grande abbraccio, ma allo stato attuale gli iscritti restano dieci. L’impresa invece è riuscita a Teolo, comune padovano alle pendici dei Colli euganei, dove le famiglie attraverso appelli e ricerche “porta a porta” sono riuscite a raccogliere sedici iscrizioni.
Pur di salvare la scuola due novantenni del paese, senza licenza elementare, erano disposte addirittura a tornare sui banchi assieme ai loro pro nipoti.
«Le famiglie e i sindaci protestano giustamente perché la scuola è un presidio importante e un punto di riferimento per il territorio – spiega Augusta Celada, direttrice dell’Ufficio scolastico del Veneto - . Le scuole troppo piccole però non hanno futuro, perché non rispondono ai requisiti di qualità, abbiamo bisogno di istituti grandi che possano fare massa critica e nei confronti dei quali riusciamo anche a convogliare maggiori finanziamenti e farli diventare vere eccellenze».

Fuga di cervelli, sin dall’età scolastica. Anzi, di cervelli ce ne sono sempre meno. La diminuzione delle nascite tocca in maniera significativa la Puglia, con un conseguente spopolamento delle aule. Per il prossimo anno, secondo quanto comunica la Cisl, sono previsti 11.202 alunni in meno rispetto ad oggi. In tutta la regione, fonte Miur, è in arrivo un segno passivo dell’1,91%.
Caso emblematico, Taranto. Per il 2019-20 si prevede un calo di 1.773 iscrizioni. Il dato rispecchia i numeri neri del territorio regionale. Attualmente ci sono 84.741 ragazzi, comunica lo Snals provinciale con Luigi Schirone, che scenderanno a 82.968 per il suono della nuova campanella.
La flessione
E il restringimento delle classi vedrà il suo massimo proprio alla primaria (o elementari come si diceva una volta) con 651 bambini in meno, conseguenza della flessione demografica. «Quest’anno è una bella botta- commenta Pierfrancesco Caressa della segreteria ionica- del resto la situazione non è nuova. Già l’anno scorso abbiamo assistito ad un trend negativo, in realtà partito nel 2005, ma mai così eclatante. La conseguenza è l’accorpamento degli istituti scolastici che, al di sotto dei 600 iscritti, perdono la loro autonomia. Non avere i requisiti può anche significare confluire in una sede unica, spesso in comuni tra loro distanti. Con annessi disagi per le famiglie. Senza dimenticare che, se non esistono alunni, non esistono neppure i professori». Nonostante tutto, al momento, gli organici del corpo docente resteranno pressoché invariati, senza subire tagli.
Altro elemento su cui riflettere riguarda i genitori che, con figli al seguito, si trasferiscono in altre regioni in cerca di occupazione. Una sorta di esodo forzato che contribuisce alla desertificazione scolastica del sud Italia, in cui si prevede il triste primato di 51mila banchi vuoti, a fronte dei quasi 70mila su tutto il territorio nazionale.
A fare sintesi tra i numeri è Carmine Carlucci, una vita nella scuola e nel sindacato. «Ogni istituto di Taranto spiega il decano- perderà una o due classi». Unico dato in crescita, quello dei diversamente abili nelle scuole di primo e secondo grado, che si inserisce nel dibattito di questi giorni. «Sarebbe opportuno- prosegue- ripristinare la presenza delle equipe psicopedagogiche o, come proposto dal ministro della Salute Grillo, prevedere la figura del medico scolastico».

Se l’Emilia Romagna è l’unica regione in controtendenza nel panorama generale del calo degli iscritti alle scuole italiane, «lo si deve anche a una buona integrazione degli immigrati». Sono loro, nell’analisi dell’assessore regionale all’istruzione Patrizio Bianchi, ad arginare il crollo demografico e a far aumentare il numero complessivo degli alunni: «Abbiamo investito molto in formazione professionale, il che ha favorito l’ingresso stabile nell’industria di lavoratori stranieri, i cui figli hanno cominciato a frequentare le nostre scuole».
I dati, in regione, vedono un incremento delle domande di iscrizione rispetto all’anno scorso dell’1,70% alle medie e del 2,30% alle superiori, a fronte di una diminuzione dell’1,80% alle elementari. Quanto alla presenza di ragazzi stranieri, guida la classifica la provincia di Piacenza, con il 26,6% di figli di migranti alle elementari, il 23,5% alle medie e il 15,7% alle superiori. Parma, Modena, Ravenna e Reggio sono le altre province a più alta concentrazione di studenti di origine straniera, ed è proprio nel Reggiano, a Luzzara, il paese di Cesare Zavattini, che l’arrivo massiccio di immigrati indiani e pakistani ha forse salvato il comune da un lento spopolamento: «A inizio Anni 90 eravamo circa 7mila e gli asili chiudevano, oggi siamo 9.500, di cui il 20% stranieri – dice il sindaco Andrea Costa -. Circa la metà dei bambini in età scolare sono figli di immigrati che convivono in armonia con gli italiani».
Il lavoro
I loro genitori hanno trovato lavoro perlopiù nelle stalle e nelle aziende di macchine agricole. Le comunità degli adulti non si sono fuse altrettanto bene come i bambini, ma non ci sono episodi di intolleranza. In compenso, il comune vanta due asili nido, quattro scuole materne, due elementari e una media: «L’integrazione comincia all’asilo con giochi e attività, una volta alle medie le differenze di preparazione non si avvertono più».