La Lettura, 7 aprile 2019
Un romanzo nei quartieri spagnoli
«I Quartieri Spagnoli non si amano, si vivono. Per me sono un microcosmo della vita. Tutto succede lì e soltanto guardando da vicino s’impara qualcosa». Così, sulle pagine de «la Lettura», la scrittrice americana Heddi Goodrich ha spiegato la scelta di ambientare a Napoli, nel groviglio di vicoli che separa via Toledo dal corso Vittorio Emanuele, il suo romanzo, Perduti nei Quartieri Spagnoli. E da vicino, molto da vicino li guarda, li studia, li vive e li racconta Giovanni Laino nel ripercorrere i 40 anni di attività e d’impegno sociale sul territorio dell’Associazione Quartieri Spagnoli con sede in uno degli oltre 500 «bassi» fronte strada presenti in questa fetta-specchio di città, ricca di storia e cronaca, più nera che bianca.
A due passi dal porto e dai centri decisionali, nato per volontà del viceré Pedro de Toledo, che qui piazzò le sue truppe, il reticolo cinquecentesco di tufo e piperno, per anni sinonimo di pericolo diffuso, malavita, prostituzione e via rischiando, si sta trasformando in un quartiere laboratorio di un’auto-rigenerazione gravida di conseguenze. Positive: il recupero in termini turistici e non solo di un’area dove in uno stesso palazzo nei piani bassi non si vede la luce e in quelli alti si gode la meraviglia di un panorama che toglie il respiro; dove convivono sacro e profano, conventi e bordelli, barocco e macerie, la casa di Leopardi e quella del boss, dove le tracce della rivoluzione del 1799 sfidano i segni delle baby stese di camorra. Le conseguenze negative rimandano soprattutto all’assenza delle istituzioni e a un diffuso chiudere un occhio, anzi due.
«Questa varietà di case, attività e tipi sociali – scrive Laino – è stata la principale fonte di attrazione e di resilienza. I Quartieri, come una spugna porosa, si sono sempre lentamente adattati senza mai essere stravolti». Certo, nel tempo il paesaggio umano e visivo è cambiato molto: le bombe della Seconda guerra mondiale hanno abbattuto alcuni palazzi, il sisma del 1980 per anni ha imposto il trasferimento di migliaia di abitanti, l’Aids con la droga ha fatto strage, ma l’identità urbana sembra essere a prova di tutto. Oggi è sparita la prostituzione di strada, il sommerso è un po’ più emerso, botteghe e laboratori hanno lasciato il posto a pizzerie, ristoranti, case-vacanza e b&b in sintonia con il turismo che sfida l’onda lunga dei disservizi pur di tuffarsi nel mare di emozioni che bagna Napoli. Un fenomeno che interessa soprattutto la parte bassa, la Montmartre in salsa partenopea auspicata nel 2011 dal sindaco Luigi de Magistris.
«Facendo cenno a uno scherzo sociologico – racconta Laino in quello che definisce libretto, ma tale solo nel formato e nel numero di pagine, 67 – le quasi 4 mila famiglie dei Quartieri si possono suddividere in tre gruppi sociali: gli eduardiani, colpiti solo episodicamente da esperienze di devianza; le famiglie vivianiane, con componenti coinvolti nelle attività delle organizzazioni camorristiche; e un terzo gruppo, meno numeroso e visibile, formato dal basso e medio ceto di lavoratori. L’arrivo negli ultimi anni di altri due gruppi sociali prospetta uno scenario di possibile, futura popolazione sociale: gli immigrati regolari e, in sordina, i nuovi borghesi proprietari residenti che, anche grazie al degrado del patrimonio edilizio, riescono a comprare e a ristrutturare appartamenti, accettando di sopportare alcune diseconomie locali in cambio di un’utilissima centralità urbana».
Un cantiere sociale a prova di gentrificazione, misto, ibridato ma con la diffusa radicata permanenza di abitanti e attività popolari in un luogo cerniera, vitale per il futuro della città. Un cantiere in cui l’Associazione Quartieri Spagnoli ha domiciliato il proprio impegno civile con la presa in carico di 120 persone al giorno per una varietà di servizi garantiti grazie all’impegno di Anna e Lina Stanco che l’hanno fondata con Giovanni Laino e di altri venti lavoratori sociali.
«L’esperienza ai Quartieri Spagnoli – conclude Laino – ha insegnato che se la propensione all’invenzione e al sogno non va mai mortificata, il radicamento, l’attenzione alla fattibilità complessiva e alle reali propensioni delle persone sono dimensioni imprescindibili per lo sviluppo del territorio». A patto che l’attivismo coinvolga anche istituzioni e politica, in un progetto e una strategia condivisi. Diversamente questa straordinaria finestra sulla Napoli presente e futura si chiuderebbe allungando il lungo elenco delle occasioni mancate e delle speranze deluse.