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 2019  aprile 06 Sabato calendario

Come fu composta l’Eroica di Beethoven

Domani, il 7 di Aprile, è una data storica per la musica. Quel giorno, nel lontano 1805 Ludwig van Beethoven diresse la prima esecuzione della sua terza sinfonia, l’Eroica. Da allora la musica non fu più la stessa: il genio vi aveva portato una rivoluzione pari a quella – nella pittura – di Giotto mezzo millennio prima La musica usciva dal lustro edonistico del Settecento per avvicinarsi all’uomo nel dramma della sua esistenza. 
Agli inizi del nuovo secolo, Mozart e Haydn avevano raggiunto quei vertici sinfonici e vocali che ancora oggi ci entusiasmano nei giorni felici. Ma non avevano mai scavato nella profondità dell’animo per trarne quella tensione che Goethe e Schiller avevano già manifestato nelle loro tragedie. La musica era arretrata rispetto al romanticismo e alla filosofia tedesca. Kant aveva demolito i fondamenti della teologia; Lessing aveva pubblicato la prima Vita di Gesù dove l’erudito Reimarus tratteggiava il Salvatore in termini puramente umani. E il giovane Hegel cominciava a dubitare di un Dio personale. Tutto questo era estraneo al mondo delle simmetrie armoniose dei due grandi musicisti viennesi, fermi nella fede tradizionale anche quando venivano percossi dalle sventure. Beethoven per primo evocò, nel suo balletto le Creature di Prometeo, la ribellione dell’eroe alle ingiustizie di Giove, e ne riprese il tema per il finale di questa sua straordinaria terza sinfonia. Mobilitò le note e le mandò in battaglia non solo contro il destino, ma contro la rassegnazione: questo fu il significato dell’Eroica.L’opera fu composta nel 1804, dopo una lunga gestazione. Probabilmente era stata ispirata dal generale Bernadotte, che in varie conversazioni con Beethoven gli aveva dipinto Napoleone come l’alfiere di un nuovo ordine europeo, fondato sui diritti dell’uomo e sulla tollerante filosofia illuminista. Beethoven era un fervente repubblicano, con tendenze (allora) anarcoidi, teneva sul pianoforte un busto di Bruto e considerava il tirannicidio una legittima difesa: così pensò di dedicare l’opera al brillante Primo Console e alle sue iniziative libertarie. Tuttavia, come spesso capita agli artisti, anche lui prese un grosso abbaglio politico. Napoleone si incoronò imperatore e Beethoven, furente, stracciò la dedica a Bonaparte sostituendola con quella (in italiano) di «Sinfonia eroica, per festeggiare il sovvenire di un grand’uomo». Questo almeno ci racconta Schindler, anche se la versione sembra romanzata. Incidentalmente diremo che, come Goethe e quasi tutti i saggi, Beethoven invecchiando perse l’entusiasmo rivoluzionario, e quando Wellington strapazzò in Spagna le truppe di Jourdan, dedicò al nobile inglese una composizione per la vittoria, anticipando profeticamente il trionfo di Waterloo. I TEMPIMa torniamo all’Eroica. È in quattro tempi, ma solo in questo si allinea alle sinfonie tradizionali. È più lunga e complessa, e per questo non fu apprezzata nella prima esecuzione. Ma una volta superato lo sbalordimento, anche il pubblico ne comprese la valenza artistica e la portata innovativa. 
Il primo movimento riprende una melodia di Mozart fanciullo il Bastien und Bastienne. Mutuare temi da opere proprie e altrui era ( ed è) abbastanza usuale. Quasi tutti gli inni nazionali europei derivano da opere classiche; pare che anche la Marsigliese provenga da alcune variazioni del nostro Giambattista Viotti, e persino il marziale inno dei Marines riprende un motivo di Offenbach, l’autore del cancan. Il genio non dev’essere necessariamente originale, dev’essere creativo. Beethoven sviluppò il fragile tema mozartiano portandolo a una folgorante plasticità di immagini, evocative di una lotta tra una malinconia esistenziale e una interiore forza consolatrice. Ma questo è solo l’inizio. Perché la morte ritorna a incombere nel secondo movimento, la famosa marcia funebre, che esprime la caduta e la fine di un eroe. La complessità delle sue variazioni, il dialogo sinistro tra archi e fiati, e l’ossessiva ripetitività di un lugubre motivo ci introducono in un’atmosfera di spasimante dolore appena temperato da un finale vagamente consolatorio. Se la sinfonia si fosse chiusa lì, come l’Incompiuta di Schubert, l’ascoltatore ne sarebbe uscito con funesti propositi suicidi. Ma Beethoven, benché tormentato dal peggiore dei mali per un musicista, la sordità, non si arrende. 
Dopo uno scherzo che allontana l’ombra cupa della rovina e ci riconcilia con la vita, il quarto tempo sembra galoppare con un’energia crescente e inesauribile verso un epilogo di apoteosi. L’impeto prometeico sembra non conoscere limiti, e l’architettura armonica in continua espansione ci trascina verso un orizzonte dove niente sembra impossibile alle conquiste dell’Uomo, tanta è la vitalità e l’energia che scatenano queste note. E quando gli ultimi accordi sincopati ci avvertono dell’epilogo imminente, tratteniamo il fiato come se la fine della sinfonia fosse l’inizio di una nuova e straordinaria avventura. Mai come in quel momento ci sembrano suggestive le parole di Paolo, che la morte si è convertita in vittoria. 
UMANITÀQuando l’Eroica fu composta, Vienna era ancora sotto l’influenza di Mozart, morto da un decennio, e di Haydn, vecchio ma alle soglie della fine. Entrambi avevano donato all’umanità la gioia di una bellezza olimpica, e le loro più languide e commoventi melodie non avevano mai oltrepassato i limiti di un controllato sentimentalismo. Bach era in penombra, e Beethoven sfornò capolavori in una rapida e incredibile successione: il Triplo, l’Appassionata il Quarto per pianoforte, fino al concerto per violino, il più bello mai scritto per questo strumento elegiaco. La sua fama aumentò, e contese al saggio Goethe lo scettro del massimo artista tedesco. Si dovette aspettare la riesumazione di Bach da parte di Mendelssohn perché questo primato fosse insidiato dal gigante di Eisenach. Difficile scegliere. Come i due filosofi della scuola di Atene, l’uno punta il dito al cielo, l’altro al suolo. Forse niente può superare il vertice della chaconne, quella sintesi tra esprit de geometrie e esprit de finesse dove Bach intende mostrarci Dio nella sua dimensione insieme intuitiva e razionale. Ma è un itinerario difficile, insidiato dalle tragedie e dai dubbi della nostra precaria esistenza. Ed è qui che il nostro cuore ritorna all’Eroica. Un invito, anzi un’intimazione ad accingerci alla lotta. Non accettare mai la resa, ma puntare alla vittoria: contro le tentazioni della rassegnazione codarda, contro l’avvilimento delle inevitabili delusioni, contro i dolori del corpo e dell’anima, e non ultima, ma più difficile di tutte, contro la stupidità.