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 2019  aprile 06 Sabato calendario

Le cose di Frida

Ancora Frida. Perché? Sono trent’anni che l’artista messicana, morta nel 1954 e riscoperta solo negli anni Novanta, occupa il nostro immaginario con prepotenza. Ora la sta celebrando il Brooklyn Museum di New York con una mostra di grande impatto emotivo, curata sulla base di quelle già viste nel 2012 al museo di Città del Messico a lei dedicato e al Victoria & Albert di Londra nel 2018. 
L’esposizione associa ai suoi quadri, dipinti con perizia maniacale, lucidi, mai gestuali, precisi nella definizione di particolari, anche i suoi vestiti, le scarpe, i corsetti di cinghie spesso dipinti a mano da Frida stessa, che con essi sostentava il suo piccolo corpo disabile, i cerchietti decorati con cui adornava i lunghi capelli neri, nonché oggetti della tradizione messicana tratti dalla collezione che mise insieme con il marito Diego Rivera; e ancora filmati in cui lo bacia teneramente, fotografie che la ritraggono sola e ieratica come una strana Madonna, oppure in compagnia dei suoi migliori amici, come lei comunisti e rivoluzionari. Per la prima volta vengono esposte testimonianze della sua vita personale che sono state scoperte e inventariate nel 2004. Sono state prelevate per l’occasione dalla Casa Azul, la dimora azzurro cielo in cui la coppia visse lungamente.
Tra questi reperti stanno i molti motivi della pregnanza di Frida Kalho, la cui vicenda incarna una storia ricca di spunti attuali. Le fotografie mostrano una ragazza libera, vivace, capace di vestirsi da maschio e di infilarsi in tutte le comitive più interessanti del suo paese: un Messico in cui bollivano sentimenti antiamericani, forte di una tradizione che intendeva rivendicare davanti al mondo e inventore di una pittura muralista di propaganda socialista, ma non stucchevole come quella sovietica. 
Il titolo della rassegna, Le apparenze ingannano, allude all’estrema forza d’animo della donna nonostante i suoi mille guai: un incidente nel 1925 le aveva fracassato il bacino e alcune vertebre, cosa che la costrinse a dolori fisici costanti; molti aborti spontanei le impedirono una maternità desiderata, tanto da indurla a compensarsi con scimmie e altri animali; un senso di indipendenza irrefrenabile le tolse la protezione del surrealismo, movimento che volentieri ne avrebbe fatto una paladina; il marito la tradì costantemente, del resto spesso ripagato con la stessa moneta.
L’aiutarono a sopravvivere, anzi a vivere sopra le righe della banalità, la sua passione per la pittura, i suoi amori e la capacità di non sottrarsi alle emozioni, mostrandole in modo sublimato in autoritratti egocentrici e onirici in cui la vediamo con il suo sguardo diretto, fiera di una bellezza che conteneva anche la sua postura innaturale, immersa in una natura tropicale o intenta a covare nel ventre un Diego rimpicciolito ma con un terzo grande occhio, o ancora in configurazioni per le quali, quasi fossero radiografie colorate e sognate, del corpo si intravvede anche l’interno. I suoi vestiti colorati ed esagerati, così come i gioielli precolombiani che alludevano alla tradizione tehuana e al contempo la ricreavano, decoravano la sua fragilità esibita come un vessillo. Il suo orgoglio di femmina sofferente, ma anche calda e decisa, è diventato un simbolo per il nuovo femminismo (un ambito nel quale il Brooklyn Museum è molto attivo, con una collezione esemplare sul tema): quello che passa anche dal cosiddetto queer, cioè dal lato attoriale, travestito, strano, antitradizionale della sessualità. Ma Frida è anche un baluardo contro il muro anti-Messico e contro ogni atteggiamento xenofobo, come attestano le numerose attività a latere della mostra che esaltano, appunto, la cultura messicana in ambito anche musicale, poetico e artigianale. 
L’artista insomma è diventata un punto di riferimento per molte categorie considerate marginali, ma che hanno saputo ritrovare un centro: chi deve convivere con un problema fisico, chi deve portare il fardello della diversità razziale, chi appartiene a un mondo ispanico che ancora non è integrato in quello bianco, chi non vuole, in tutto questo, farsi inglobare in un gruppo politico o artistico a scapito della propria identità, e nemmeno chiudersi in una coppia in maniera esclusiva. Nei 47 anni in cui visse, nessuno poté mai possederla davvero, nemmeno Rivera che aveva vent’anni in più di lei, la vezzeggiava con nomignoli come Querida o Chiquitita, e al tempo del loro matrimonio era assai più influente della moglie. 
Le molte monografie che le sono state dedicate e le mostre come questa, arricchita dal contrasto tra l’architettura in parte aggressivamente contemporanea del museo e il sapore etnico di ciò che vi viene esposto, alla fine dischiudono il mistero: per amare un artista abbiamo spesso bisogno che la sua personalità ci avvinca, crei una leggenda o racconti una storia credibile, senza dimenticare di avvolgerci anche sul piano morale. 
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Frida Kahlo. Appearances 
Can Be Deceiving
New York, Brooklyn Museum
fino al 19 maggio