Il Sole 24 Ore, 6 aprile 2019
Soldi a palate con gli abbonamenti per il New York Times
«Nel 2011 per noi si prevedeva il fallimento. Ci avevano detto che la gente non avrebbe pagato per i nostri contenuti». A fine maggio dello scorso anno il ceo del New York Times, Mark Thompson, ha messo in fila numeri che hanno fatto sgranare gli occhi ai presenti al tradizionale convegno dell’Osservatorio Giovani-Editori a Borgo La Bagnaia.
Quella di “The Gray Lady” è una storia di successo, di una trasformazione digitale necessaria in un mondo dell’editoria scosso dalle fondamenta. La pubblicità su quotidiani e periodici cartacei ha imboccato un piano inclinato sotto la spinta dei colossi del web: quei Google e Facebook in primis, ma con lo spauracchio Amazon che avanza, che insieme arriveranno a pesare nel 2019 il 29% della pubblicità mondiale secondo le previsioni della società Warc (era il 10,8% nel 2014). I numeri sono eloquenti: nell’“Advertising Expenditure Forecasts” di Zenith è previsto un calo di 5 miliardi di dollari per l’adv sui magazine e di 6,3 miliardi per i quotidiani cartacei fra 2018 e 2021. E questo con alle spalle una flessione del valore dei due mezzi sulla torta: dal 24% al 13% fra 2013 e 2018. Ed entro il 2021 è atteso un calo al 9%.
La strada appare così inevitabile: scommettere sugli abbonamenti più che sulla pubblicità. C’è già chi l’ha imboccata con decisione. Il Wall Street Journal ha registrato a fine 2018 un aumento del 23% delle sottoscrizioni digitali arrivate a quota 1,709 milioni. Per il Nyt la rotta è cambiata nel 2011 per arrivare a un 2018 chiuso con 709 milioni di dollari di ricavi digitali (su 1,75 miliardi totali) che, ha detto Thompson, vuol dire essere «a tre quarti del nostro obiettivo quinquennale di raddoppiare il fatturato digitale portandolo a 800 milioni entro il 2020». E così, con 265mila nuovi abbonati solo digitali nel quarto trimestre 2018, i sottoscrittori sono saliti a 4,3 milioni, di cui 3,3 solo digitali.
Questo negli Usa, ma la tendenza è visibile anche al di qua dell’Atlantico. In Germania, ad esempio, Zeit è salito a più di 100mila abbonati solo digitali (+123% annuo) e il leader di mercato Axel Springer con i suoi WeltPlus e BildPlus riesce ad aver una base abbonati superiore al mezzo milione di utenti. In generale, comunque, in Europa la consapevolezza si sta facendo strada. Il Reuters Institute ha segnalato che nel Vecchio Continente il 66% dei quotidiani e il 71% dei magazine online sono a pagamento. Ed è uno studio del 2017 quindi i numeri potrebbero anche essere più alti. Modello freemium (pochi contenuti free e il “core” a pagamento), paywall (con il “muro” che è stato calcolato scatti in media dopo cinque articoli ) o anche le newsletter a pagamento sono ormai realtà.
Così il modello dell’offerta digitale fa proseliti. Meno velocemente rispetto all’avanzata nel mercato adv dei colossi del web, ma si fa strada. E la cosa non riguarda solo gli Usa. Il report della Fipp “2019 Global Digital Subscription Snapshot” mette in fila i dati riguardanti le sottoscrizioni in giro per il mondo. E così tra le prime dieci testate per numero di abbonati tre sono statunitensi (oltre al Nyt ci sono Wsj e Washington Post rinato sotto la cura Bezos), quattro inglesi (Financial Times; Guardian; Economist e Sunday Times), una giapponese (Nikkei) e una svedese (Aftonbladet). Il lavoro però non è facile. «Abbiamo più di 12mila abbonamenti, ma la crescita delle sottoscrizioni non è così semplice in un Paese dove non c’è la cultura dei pagamenti digitali», ha detto Laura Sanz, product director di El Español.