Il Sole 24 Ore, 6 aprile 2019
Haftar fermato alle porte di Tripoli
Quella che nelle intenzioni del generale Khalifa Haftar doveva essere una pacifica presa di Tripoli si sta rivelando una difficile partita a scacchi dall’esito tutt’altro che scontato, giocata sia con mezzi militari che con gli strumenti classici della diplomazia e della politica da parte dei principali Paesi coinvolti nella crisi, Italia soprattutto. Per ora non vi sono riflessi diretti sugli interessi del nostro Paese. I circa 40 dipendenti del gruppo Eni hanno già lasciato o stanno per lasciare il Paese come già avvenuto in passato per crisi analoghe. Non sono previsti problemi di sorta per gli approvvigionamenti energetici dalla Libia che ormai non detiene più il primato di principale Paese fornitore del Nord Africa dopo la scoperta del giacimento di Zohr in Egitto. Anche sul fronte dei migranti non sono attese brutte sorprese sia per le pessime condizioni del mare che scoraggia qualunque partenza (solo ieri un lieve miglioramento) sia per il fatto che la Guardia costiera è ancora in piena attività e pattuglia le coste.
Sul fronte delle attività militari, chi si trova a Tripoli registra in queste ore una situazione di grande incertezza. Le truppe del generale Khalifa Haftar, uomo forte di Bengasi, sono state respinte verso Garian a 80 km dalla capitale ma si sono avvicinate all’aeroporto internazionale che i governativi di Serraj affermano, tuttavia, essere ancora sotto il loro controllo, smentiti dall’esercito nazionale libico (Lna) di Haftar che però non ha installato, almeno finora, l’artiglieria pesante nella zona dell’aeroporto. La Lna avrebbe contato negli scontri 12 morti tra le sue fila ma, più in generale, la situazione si sta rivelando ben diversa da quanto Haftar pensava inizialmente. Le milizie di Tripoli e Misurata si sono immediatamente ricompattate per fare fronte comune contro gli uomini della Lna. Ma la vera novità è la compattezza dei misuratini. Il ministro dell’Interno di Serraj, Fathi Bashagha, di Misurata, fino a pochi giorni fa era considerato un grande costruttore di ponti e dialogo con Haftar ma ora ha dovuto registrare tutte le difficoltà che esistono per un confronto con Bengasi. Sono due i paletti insormontabili posti da Misurata. Nella scelta tra continuità e discontinuità rispetto alla rivoluzione del 2011 che portò alla caduta di Gheddafi, Misurata si è sempre posta a favore di una totale discontinuità mentre Haftar si pone egli stesso come erede naturale del Rais per salvaguardare l’identità nazionale e combattere il terrorismo islamista. Il secondo ostacolo riguarda proprio la lotta al terrorismo. I misuratini hanno subito la perdita di 750 uomini e il ferimento di almeno 5mila, soprattutto giovani combattenti, nell’assedio dell’Isis a Sirte e non accettano che Haftar si ponga come unico vero argine a Daesh dopo che a Derna ha fatto fuggire i veri terroristi concentrando gli attacchi sugli islamici moderati e inoffensivi.
Sul fronte politico diplomatico sono ore convulse sia per le decisioni prese alla luce del sole con dichiarazioni pubbliche (G7 Esteri a Dinard o incontro tra Al Sisi e Lavrov al Cairo) sia per l’attività riservata che vede l’Italia agire in primo piano con il premier Giuseppe Conte ha avuto ieri un colloquio con il segretario dell’Onu Antonio Guterres. L’obiettivo per tutti è non far fallire la conferenza di Gadames del 14 aprile voluta con forza dall’inviato Onu Ghassan Salamé. Il Governo italiano ha proposto al G-7 Esteri a presidenza francese una dichiarazione congiunta che insiste sulla road map dell’Onu ed esclude qualunque soluzione militare, dichiarazione subito adottata dalla presidenza francese e dagli altri membri del G7. Italia e Francia, ha osservato il responsabile della Farnesina Enzo Moavero, «hanno a volte avuto uno sguardo diverso sulla Libia ma in questi due giorni ci siamo trovati assolutamente d’accordo nel fare un appello concorde verso una soluzione che non preveda interventi militari». E il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian ha confermato che Italia e Francia sono sulla stessa linea sulla Libia. Dagli Stati Uniti, intanto, un portavoce del Dipartimento di Stato ha ricordato che promuovere la stabilità nel Nord Africa e nel Sahel, inclusa la Libia, è una priorità del dialogo strategico Usa-Italia e ha riconfermato l’impegno Usa a «lavorare con la Libia, l’Onu e i nostri partner internazionali, compresi i nostri alleati italiani, per contribuire a far avanzare una riconciliazione politica, sconfiggere il terrorismo e promuovere un futuro più stabile per il popolo libico». Washington non ha mancato però di ricordare all’Italia che restano le preoccupazioni per la sostenibilità degli accordi riguardanti la Belt and Road Initiative (Bri), per il mancato aumento delle spese militari e per la posizione troppo cauta sull’acquisto degli F35.