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 2019  aprile 06 Sabato calendario

Il ballo orientale di Christian Dior

Nel 1951 Christian Dior aveva 46 anni, anche se così grasso e calvo ne dimostrava molti di più: ed era già l’uomo che aveva ricreato la donna, avvolgendola in stoffe preziose e in opulenti vestiti alla caviglia dopo i rigori della guerra.
In quell’anno a monsieur accaddero un miliardo di cose, tutte interessantissime. Comprò il castello della Colle Noire, a Montauroux vicino a Grasse. Disegnò il vestito di Soraya Esfandiari per il matrimonio con lo Scià di Persia, e anche quello di Margaret d’Inghilterra per i suoi ventun anni. Se però gli avessero chiesto che cosa avesse contato davvero per lui in quel 1951, per il tempo che ancora gli restava (poco: morì d’infarto nel 1956) avrebbe risposto con una sola parola: «Venise».
Sul Canal Grande
A Venezia, sullo sfondo del Canal Grande e delle chiese più sbalorditive, Dior aveva ambientato a primavera la campagna pubblicitaria per la sua collezione Ovale, quella dalla linea particolarmente raccolta e arrotondata, con le maniche a raglan e i cappellini ispirati ai coolies cinesi. Soprattutto, a Venezia il 3 settembre fu il nume tutelare a Palazzo Labia del Bal Oriental di Carlos Beistegui, da allora considerato il party del secolo, più del Black and White di Truman Capote, molto di più dei pur strabilianti Balli Volpi in technicolor.
Era presente tutta la high society del tempo: l’ereditiera Barbara Hutton in velluto nero, vestita da cicisbeo settecentesco, l’Aga Khan truccato da idolo orientale, Orson Welles in smoking e con un turbante di fortuna, all’altezza della situazione nonostante gli avessero appena rubato il costume, pare da torero; il couturier Jacques Fath addobbato da Re Sole con la moglie Geneviève Regina Luna. Marella Caracciolo ancora non coniugata Agnelli, con piume di struzzo strepitose. E Salvador Dalì vestito Dior, mentre Dior era vestito Dalì: nel senso che si erano disegnati a vicenda i look.
Bianco e nero
Dell’Oriental abbiamo solo immagini in bianco e nero, e forse proprio per questo ci appare tanto enigmatico e favoloso, come emerso da un passato non replicabile. Oggi quelle foto, accostate alla campagna Ovale, vengono riesposte a Villa Pisani di Stra, sulla Riviera del Brenta. La mostra, aperta dal 12 aprile al 3 novembre, firmata da Vittorio Pavan e Luca Del Prete, attinge all’archivio Cameraphoto, di cui Pavan è il curatore e che raccoglie i documenti di quella prodigiosa stagione veneziana.
È il posto giusto, se non altro in nome di Tiepolo. Affreschi a Villa Pisani, affreschi a Palazzo Labia. Proprio a uno di questi, Il banchetto di Cleopatra, si era ispirato per il tema del ballo Don Carlos Beistegui y de Yturbe detto Charlie, erede di una fortuna ispano-messicana costruita sulle terre e sull’argento, proprietario sugli Champs-Elysées di un appartamento progettato da Le Courbusier, nella campagna a ovest di Parigi del castello di Groussay con un teatro ispirato a quello di Bayreuth, a Venezia di Palazzo Labia in campo San Geremia, appunto, che negli Anni Sessanta sarebbe però stato tristemente costretto a vendere alla Rai.
Il tema prese la mano agli ospiti di Charlie e si dilatò, fino a quello di un generico Settecento veneziano intinto d’Oriente e molto libertino, ma con infinite variazioni: fra tutti, l’unica alla fine ad attenersi strettamente fu Dorothy Cooper, travestita da Cleopatra del Tiepolo.
Quanti invitati
Nei sei mesi che passarono dalla diramazione degli inviti al party (e qui le fonti divergono: 700? Oppure mille? Pare improbabile che, come qualcuno ipotizza, gli imbucati fossero addirittura 300, se è vero che alcuni milionari americani sperarono invano in un cartoncino dell’ultima ora, attraccati al Lido nei loro yacht), il bel mondo ebbe tutto il tempo per pensare ai look.
Arrivarono i Rothschild e i Radziwill, Gene Tierney, Irene Dunne con la bautta, Leonor Fini. Arrivò Farouk d’Egitto, arrivò Elsa Schiaparelli, arrivò pure Deborah, la minore delle terribili sorelle Mitford; e Cecil Beaton vestito da prete chic, Doris Duke, Fulco di Verdura, Jacqueline de Ribes.
Tra le più eleganti, l’aristocratica inglese Daisy Fellowes, parente del futuro creatore di Downton Abbey, in giallo naturalmente Dior; e il più coraggioso fu proprio Charlie, in parrucca barocca e scarpe con rialzo di 40 centimetri. Winston Churchill e i duchi di Windsor, invitati, declinarono. Per Christian Dior l’apoteosi, intinta però di presagi: perché un certo Pierre Cardin di neanche trent’anni, nato a San Biagio di Callalta in provincia di Treviso, già suo stagista, da Beistegui riuscì a piazzare trenta abiti da sera.