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 2019  aprile 06 Sabato calendario

Parla Alessandra Ferri

Alessandra Ferri, l’étoile del Royal Ballet, dell’American Ballet Theatre e della Scala, aveva lasciato le scene nel 2007 per poi tornarci dopo qualche anno. Ma a un patto: dare vita a nuovi personaggi che non facessero a pugni con la sua età e soprattutto la sua maturità di artista. Perché sulla forma fisica non ci sono dubbi, come testimonia Dance Magazine: «Piede splendidamente arcuato, schiena morbida e linee estese di braccia e gambe, quando è in scena danza e recitazione si mescolano sino alla più pura essenza»
Signora Ferri, dopo il suo «coming back» ha affrontatoChéridi Colette, Eleonora Duse con il coreografo Neumeier. Ora veste i panni della scrittrice inglese Virginia Woolf inWoolf Works,domani sera alla Scala con la coreografia di Wayne McGregor, la musica di Max Richter e Federico Bonelli, principal del Royal Ballet, come partner. Nessuna nostalgia per Giulietta o Manon?
«Il mio addio a quei personaggi è avvenuto nel 2007 quando ho lasciato le scene. Poi è vero, ho ancor ballato due volte Giulietta, una al Met di New York e una alla Scala, ma era soltanto un tributo alla mia carriera. Sentivo l’esigenza di seguire un percorso personale, di tornare a ballare essendo me stessa nell’anima. Non volevo non guardarmi indietro o rimanere attaccata a qualcosa che faceva parte di una vita passata. Mi interessava riflettere la donna che sono oggi».
Oggi che donna è?
«Una donna di 55 anni pronta a portare in scena l’esperienza, i pensieri, la profondità che si acquisisce umanamente strada facendo. Mi sono capitati questi tre ruoli che non ho cercato. Neanche sapevo bene cosa fare, sapevo che volevo tornare a ballare, ma meditavo su piccoli progetti».
Poi che cosa è capitato?
«La coreografa americana Marta Clarke mi ha proposto Chéri. Ha avuto molto successo e l’abbiamo portata in tournée. Un passo dopo l’altro sono arrivate le altre proposte: la Duse, la Woolf. Una sorpresa perché non pensavo che ci fossero grandi possibilità per donne mature».
Mature ma in gran forma.
«Ho la fortuna di avere doti naturali che mantengo con un grande lavoro. In questo modo posso ancora ballare molto bene. E questo dà la possibilità a coreografi come Wayne McGregor o John Neumeier di essere interessati a esplorare il mondo interiore di un personaggio maturo però con ancora quelle capacità fisiche di cui un ballerino ha bisogno per esprimersi».
Woolf Worksunisce una ballerina classica e un coreografo di superavanguardia, l’inglese Wayne McGregor, come è successo l’incontro?
«Wayne aveva in mente questo lavoro sulla Woolf per il Royal Ballet ed è venuto a New York a vedermi in Chéri. Cercava una ballerina con lo spessore umano giusto per calarsi nel ruolo. Nei romanzi che fanno da base al balletto, Mrs Dalloway, Orlando e Le Onde, c’è sempre questa compenetrazione di passato e presente dove tutto si mischia. Gli sembravo perfetta».
Un balletto narrativo con un coreografo tendenzialmente astratto?
«Non esattamente. Nell’affrontare i romanzi Wayne evita la banale narrazione, ma affronta tutti i temi senza retorica, con uno stile innovativo, non tralascia nessuna sfaccettatura attraverso cui vede in controluce la avventura terrena di Virginia Woolf».
Il coreografo che ha più influenzato la sua carriera, Kenneth MacMillan o Roland Petit?
«Sicuramente MacMillan. È stato quasi un padre, mi ha lanciata al Covent Garden quando avevo 18 anni, mi ha insegnato molto, mi ha aperto le porte. È la figura chiave. Poi altri incontri hanno avuto influenza e sono stati compagni di percorso e guide in certi periodi. Oggi il rapporto con McGregor è entusiasmante. Mi ha catapultata in una realtà a cui non avevo mai immaginato di arrivare. Dopo Woolf Works abbiano fatto altre cose insieme».
Oggi è padrona della sua carriera?
«Sono indipendente come donna, ballerina e madre. Un percorso che mi ha portato a emanciparmi dai luoghi comuni».
Ballerina è sinonimo di fragilità?
«Siamo le persone più determinate che si possano incontrare altrimenti sarebbe difficile fare questo mestiere che è estremamente faticoso. Ci vuole volontà ferrea».
Dopo anni a New York ora vive a Londra.
«Perché negli ultimi anni ho lavorato molto a Londra, ho riallacciato i rapporti con il Royal Ballet; la mia figlia più piccola Emma doveva incominciare il liceo, abbiamo scelto Londra insieme. Poi la mia figlia più grande, Matilde, vive a Milano: è più facile da raggiungere».