La Stampa, 6 aprile 2019
Liberato Zanotti
Dopo tre anni di prigionia in Siria, l’imprenditore Sergio Zanotti è libero: l’annuncio serale del premier Giuseppe Conte riaccende i riflettori su una vicenda uscita quasi subito dai radar mediatici ma seguita in realtà fino all’epilogo di ieri dai servizi segreti italiani. «Il nostro connazionale è in buone condizioni generali», continua il primo ministro ricordando «la complessa e delicata attività di intelligence, investigativa e diplomatica» necessaria al successo dell’operazione: stamattina Zanotti sarà sentito dal pm Sergio Colaiocco, responsabile del fascicolo per sequestro di persona con finalità di terrorismo aperto dalla procura di Roma.
Era l’aprile del 2016 quando Zanotti, bresciano di origine ma bergamasco di adozione, spariva al confine tra la Turchia e la Siria per ricomparire solo mesi dopo, il 15 novembre, in un video diffuso su internet dal sito russo Newsfront, inginocchiato davanti a un uomo armato e incappucciato, barba lunga, sguardo terrorizzato, voce incerta mentre chiede al governo italiano di adoperarsi per evitare la sua «esecuzione». Un sequestro strano, si disse subito. Senza richieste di riscatto, senza rivendicazioni, senza segni di riconoscimento particolari adottati dai rapitori, diversamente da quelli che in quegli stessi messi riprendevano i loro ostaggi con indosso una tuta arancione e il coltello puntato sul collo.
L’uomo, 59 anni, due matrimoni falliti alle spalle e una condanna per evasione fiscale, era atterrato a Istanbul il 13 aprile di tre anni fa diretto nella provincia frontaliera di Hatay per non precisati motivi di lavoro che avrebbero dovuto trattenerlo all’estero per pochi giorni. Da allora silenzio e poi silenzio fino alla prima clip, postata da un auto-definitosi jihadista di nome Abu Jihad, e poi una seconda, a maggio del 2017, con un nuovo messaggio dello stesso tenore del primo e l’annuncio di un ultimatum.
Oggi come allora, fonti vicine alle indagini suggeriscono che Zanotti non sarebbe in realtà mai stato nelle mani dell’Isis e neppure tenuto prigioniero nelle zone passate ora sotto il controllo curdo, come si è temuto e si teme invece per padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita rapito a Raqqa il 29 luglio del 2013 e di cui finora, nonostante la disfatta dello Stato Islamico non si hanno notizie. È possibile piuttosto che l’imprenditore bresciano sia stato preso da una banda di criminali, una delle tante in azione nella parte turca del confine bellico, terreno di caccia per bande di predoni e miliziani. In questi anni comunque l’Unità di Crisi della Farnesina si è tenuta regolarmente in contatto con la famiglia, che pure, a parte i due video, non ha più avuto alcun segno di vita.
«Sono contenta, non so niente di più, adesso lo aspetto» commenta all’Ansa, sbrigativa ma commossa, la sorella. Stessa cosa la ex moglie, Jolande Manier: «Siamo stati informati e siamo felici, non sappiamo altro, attendiamo che la Farnesina ci aggiorni».
Soddisfazione viene espressa coralmente dalla politica,i deputati del Movimento 5 Stelle in commissione Esteri alla Camera così come Fiano della presidenza del Gruppo Pd della Camera e Laura Boldrini, che chiede anche «impegno per la liberazione di Silvia Romano» (la cooperante rapita in Kenya il 20 novembre scorso).
Con il ritorno a casa di Zanotti restano almeno 4 gli italiani di cui non si hanno più notizie, padre Dall’Oglio, Silvia Romano, Luca Tacchetto scomparso in Burkina Faso nel 2018 e padre Pier Luigi Maccalli su cui da 7 mesi c’è silenzio.