La Stampa, 6 aprile 2019
Storia di Bella ciao
Pensate alla musica di Bella ciao e poi tutti insieme: «La me nòna / l’è vecchierella / la me fa ciau / la me dis ciau / la me fa ciau ciau ciau / la me manda a la funtanèla / a tor l’acqua per désinar». È un’antica filastrocca trentina. Seconda strofa: «Fra gli insetti / e le zanzare / oh bella ciau / bella ciau / bella ciau ciau ciau / fra gli insetti e le zanzare /un dur lavoro ci tocca far». Questo invece era il coro delle mondine. Molto tempo prima c’era la preghiera di una madre che voleva dare in sposa la figlia a un buon partito, «fiöl d’imperadur» (sulle note di «ho trovato l’invasor»). L’origine della musica poi è irrecuperabile: canto Yiddish, canto popolare francese del Cinquecento, qualcuno ne ha trovato tracce in Cina e in Corea. I tifosi argentini l’hanno rivisitata: «Mascherano / o Di Maria / oh Messi ciao / Messi ciao...». Noi, da ragazzi, all’inizio delle vacanze. «Questa mattina / niente lezioni / oh scuola ciao / scuola ciao...». Centinaia di parodie e di interpretazioni, in tutto il mondo. Gli ultimi sono stati i bambini di un asilo di Bologna, nella versione insegnata loro in classe e a noi più nota, quella dei partigiani. A destra si sono infuriati, intravedendo il rischio che i pupi vengano su bolscevichi. Qualcuno ha risposto che in realtà Bella ciao è la canzone di tutti, poiché i partigiani erano rossi ma anche socialisti, cattolici, liberali, e tuttavia è noto che i partigiani non la intonarono mai: è mitologia nata nel dopoguerra. Da allora si continua a crederlo un inno comunista, e per questo lo si ama o lo si odia, secondo quello che pare e non quello che è: una cosa senza radici, con mille radici, come tutti noi.