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 2019  aprile 06 Sabato calendario

Maxi sequestro a Pupi Avati

ROMA «Non è un bel momento per il cinema italiano» dice al telefono il regista Pupi Avati e non vuole aggiungere altro, dopo aver saputo della sentenza della Terza sezione penale della Cassazione depositata ieri: la Suprema Corte ha confermato il sequestro preventivo dei suoi beni e di quelli di suo fratello, Antonio Avati, produttore, per un valore complessivo di un milione e 324 mila euro. I due fratelli sono stati condannati anche a pagare duemila euro ciascuno di ammenda.
L’udienza davanti alla Terza sezione si era tenuta il 7 novembre scorso, quattro giorni dopo i festeggiamenti per il suo ottantesimo compleanno. Il regista e suo fratello sono accusati dalla Procura di Roma di evasione fiscale dell’Iva per gli anni 2012, 2014 e 2015 «nelle loro vesti di presidente e consigliere del cda della Duea film spa» e il 18 giugno scorso il Tribunale di Roma aveva disposto il sequestro dei beni. Gli Avati allora avevano avanzato ricorso ma ieri la Cassazione lo ha dichiarato «inammissibile» ribadendo «l’irrilevanza delle richieste di rateizzazione e delle opposizioni presentate» dai due fratelli emiliani, che hanno sempre sostenuto invece la propria buona fede e la mancanza di dolo. Una brutta tegola, insomma, per il regista che quest’anno porterà nelle sale il quarantesimo film in carriera, Il signor Diavolo, tratto dal suo omonimo romanzo. Un ritorno all’horror molto atteso: «Satana non mi dà tregua e ricompare nel mio nuovo film», ha annunciato qualche mese fa.
Quest’ultima vicenda, invece, avrà fatto tornare alla mente degli appassionati la trama di un altro suo film di successo, Il figlio più piccolo, commedia del 2010, con Christian De Sica nei panni di un grande evasore a cui i giudici confiscano tutte le proprietà. Oggi, però, non fa ridere.