Corriere della Sera, 6 aprile 2019
Condannati ma a piede libero in cinquantamila
Magari fosse solo «un» errore, e magari riguardasse solo Torino, il fatto che l’assassino, il 23 febbraio, di Stefano Leo, Said Mechaquat, avesse alle spalle una condanna a 18 mesi (per maltrattamenti familiari nel 2013) emessa nel 2016 e divenuta definitiva nel maggio 2018, ma da allora non ancora trasmessa dalla Corte d’appello alla Procura per l’esecuzione. Sarebbe persino consolante. E invece, in giro per le Corti d’appello d’Italia, sono almeno 50.000 le sentenze irrevocabili non ancora messe in esecuzione a causa delle carenze dei cancellieri, che devono svolgere tutti quei successivi adempimenti necessari a produrre gli effetti di una sentenza.
«Siamo qui da esseri umani prima ancora che da magistrati», e «come rappresentante dello Stato mi sento di chiedere scusa alla famiglia di Stefano Leo», rimarca ieri il presidente della Corte d’appello torinese Edoardo Barelli Innocenti con voce che gli si incrina per la commozione: «Ho anche io un figlio e, fosse successo a me, anche io sarei mortificato. Sono qui a prendermi pesci in faccia», aggiunge, «ma è solo colpa nostra? Vengano a vedere in che condizioni siamo in cancelleria. Come capo dell’ufficio non distinguo tra giudici e cancellieri, ma la massa di lavoro è tale che, con le attuali forze, non posso garantire che quello che è successo non possa capitare di nuovo».
Le statistiche ministeriali non estraggono questo dato, e dunque è solo con una ricerca del Corriere ieri in alcune grandi sedi che si riesce ad afferrare le dimensioni del fenomeno, ben noto senza bisogno che a far finta di meravigliarsi arrivi ora il solito annuncio dell’«invio degli ispettori». Dovunque è una corsa disperata a cercare di stare in pari con le sentenze a pene da eseguire in carcere (cioè quelle o oltre i 4 anni o per reati ostativi alle misure alternative), mandando però in coda l’esecuzione di quelle per reclusioni sotto i 4 anni (il cui ordine di carcerazione verrebbe per legge sospeso per consentire al condannato di chiedere entro 30 giorni al Tribunale di Sorveglianza una misura alternativa).
In Corte d’appello a Torino, dove l’acceleratore dei giudici è passato a decidere da 70 a 160 verdetti al mese, l’imbuto di cancelleria fa però poi sì che i possibili «Said» accumulatisi siano almeno 10.000 (957 solo nella sezione del processo a Said). Roma, che sino a qualche tempo fa aveva un arretrato di 21.500 fascicoli risalenti persino a verdetti del 2007, dopo un enorme sforzo della Corte d’appello in un progetto sostenuto dalla Regione Lazio è scesa all’inizio del 2018 a comunque 15.500 fascicoli di arretrato. Se Palermo dichiara un lusinghiero equilibrio quasi in tempo reale, la Corte d’appello di Napoli invece è arrivata a stimare un arretrato di 20.000 sentenze irrevocabili da mettere in moto. Milano, in pari con le sentenze a pena da eseguire in carcere, ma sulle altre in passato giunta a sfiorare le 5.000, ora viaggia con 5 mesi di sfasamento, pari ieri ad ancora 1.537 sentenze alle quali dar corpo, e con un progetto mirato punta ad abbassare la media a 40 giorni. Brescia da 4.000 è scesa sulle ancora 2.500 sentenze da eseguire, e pure Venezia ne stima 2.000.
Il denominatore comune è la carenza di cancellieri sino a un picco di 9.000 unità mancanti in 20 anni senza assunzioni, con una scopertura nazionale attorno al 22% e punte del 30% in alcuni distretti del Nord. Carenza ancor più avvertita in Appello, dove un quarto del lavoro delle già sguarnite cancellerie è assorbito da compiti amministrativi pure imposti dalla legge ma non attinenti i processi (esami avvocati, collegi elettorali, spese di giustizia, manutenzione degli uffici, ecc.).
Va dato atto all’ex ministro Orlando (governo Renzi-Gentiloni) di aver bandito, appunto dopo due decenni, il primo concorso peraltro di dimensioni mostruose, partecipato da oltre 300.000 candidati; e all’attuale ministro Bonafede (governo Conte) di stare proseguendo su questa direttrice con soldi veri. Solo che i pur preziosissimi 5.500 assunti dal 2014 a oggi hanno appena pareggiato i corrispondenti pensionamenti di una categoria dall’età media ormai alta appunto a causa del lungo blocco di concorsi e turn over.
E le ulteriori 4.300 assunzioni, che l’attuale governo ha finanziato per i prossimi tre anni, dovranno fare i conti non solo con i pensionamenti fisiologici, ma anche con le maggiori possibilità offerte dalla legge su «quota cento» a un bacino di pensionandi che persino la più prudenziale proiezione stima non inferiore alle 3.000 uscite su 10.000 dipendenti teoricamente interessati nei tre anni.