La Stampa, 7 aprile 2019
Biografia di Edoardo Mangiarotti
1919, un secolo fa, che anno: il 26 gennaio nasceva Valentino Mazzola, il 15 settembre Fausto Coppi. Il 7 aprile, a Renate, in Brianza, ritagliato nella stessa classe, Edoardo Mangiarotti. Il Siddharta delle lame: 13 medaglie olimpiche fra spada e fioretto (6 d’oro, 5 d’argento, 2 di bronzo, più 26 metalli ai Mondiali) lo schermidore più titolato della storia, il recordman olimpico dell’Italia.
Diciassette edizioni dei Giochi, cinque da atleta sino a Roma 1960, poi dirigente, giornalista, uomo elegante, spettatore lucidissimo. La prima da 17enne, a Berlino nel 1936 : «ci premiò Rudolf Hess (il vice di Hitler, ndr) davanti a 100 mila persone: io e i miei compagni ci dicemmo che tutta quella messinscena non preludeva a niente di buono». L’ultima a Pechino, nel 2008: «ci andai a mie spese. Stadi e organizzazione impressionanti, ma eravamo sempre controllati e ho assistito a scene che mi fecero capire che l’uomo non contava nulla». Il secolo breve in due battute. Fulminanti come le sue stoccate, come la risposta con cui alle Olimpiadi del 1946, atleta e insieme inviato della Gazzetta dello Sport, parò l’ira del direttore che si lamentava del pezzo arrivato in ritardo: «sono stato in pedana, poi sul podio. Prima di scriverla ho dovuto vincerla, la medaglia». Touché. Ah: il direttore si chiamava Gianni Brera. È stato più famoso dei Mangiarotti, una delle grandi dinastie sportive italiane, forse la più grande. Papà Giuseppe, maestro e patriarca; i fratelli Mario, Dario (oro a squadre e argento nella spada dietro a Edoardo nell’individuale a Helsinki) e Rosetta, la figlia Carola. Giuseppe lo impostò mancino, ma Edoardo era ambidestro, poteva cambiare impostazione quando voleva, sconcertando gli avversari. Tranne uno: Christian d’Oriola, il francese che non riuscì mai a battere. Adorava la Vezzali («ha fatto un figlio, è andata in tv, ma la sua passione per la scherma è sempre la stessa»), amava lo sport: «Sono milanista, guardo la F1 in tv, ho praticato la motonautica e possiedo un motoscafo. Mi è andata male solo con la boxe: le prendevo dai miei fratelli». Se ne è andato a 93 anni, nel 2012, con il biglietto per i Giochi di Londra già in tasca. «Lo spirito olimpico resta la più grande invenzione del ventesimo secolo» diceva, lui che lo aveva attraversato tutto senza mai tirarsi indietro.