Corriere della Sera, 7 aprile 2019
Il Festival del Giornalismo
«C ome possono, alcuni politici italiani, applaudire i regimi che hanno paura di una donna in topless, e di quello che può dire?». Così afferma l’ucraina Inna Shevchenko, 28 anni, leader delle Femen, intervistata da Barbara Serra. Un’incontro fra 300 incontri, due ospiti tra 600 ospiti, la metà donne. Il Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, che ho visto nascere, è arrivato alla 13esima edizione. È cambiato, prevedibilmente. Ed è migliorato. E questo – devo confessare – non me l’aspettavo. Chi ha successo tende a sedersi, o a ripetersi: in tutti i mestieri e in ogni campo, in Italia più che altrove (siamo un Paese di rendite, di reduci e di ricordi). L’ideatrice si chiama Arianna Ciccone, e ho deciso: il suo cognome è un errore di stampa. Dovrebbe chiamarsi Ciclone, perché insieme al marito Chris Potter è arrivata come un piccolo uragano sul giornalismo italiano, e l’ha costretto a pensare a se stesso. Una cosa che facciamo malvolentieri, come gli esami del sangue: non si sa mai cosa può saltar fuori. Tra i temi di quest’anno: disinformazione, intelligenza artificiale, la narrazione emotiva, l’importanza della tradizione di una testata, modelli di business (membership, abbonamenti, sostegno pubblico, filantropia), i rapporti con la pubblicità, le donne in redazione, tema di grande attualità. Ieri è stata presentata una ricerca della Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Numeri drammatici: l’85% delle colleghe racconta di aver subito molestie, il 35% addirittura un ricatto sessuale. Non è tutto. Il Festival Internazionale del Giornalismo ha avuto il coraggio di rispettare l’aggettivo che si porta nel nome: ho sfogliato il programma e ho l’impressione che siano più gli stranieri che gli italiani. Sono loro – com’è giusto – il piatto forte. La prima persona che ho incontrato arrivando è stata Sylvie Kauffman, direttrice editoriale di Le Monde. Ci conosciamo da trent’anni (Varsavia e Praga, 1989) e so che non è facilmente impressionabile. Anche lei era colpita: il festival del giornalismo più vitale d’Europa e, quindi, del mondo. Lo ha capito anche il filantropo americano Craig Newmark che ha donato al Festival di Perugia 250 mila dollari. Avanti, complottisti, inventate qualcosa per denigrare anche questo. La verità, invece, è semplice: la democrazia e il giornalismo vanno a braccetto. Se uno scivola, l’altro deve sorreggerlo. E viceversa. Perché se cadono tutt’e due è un dramma. Che qualcuno si augura, ovviamente.