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 2019  aprile 07 Domenica calendario

Le fidanzate vip di adesso e le mogli di una volta

«Carla Bissatini! Chi era costei?», si sarebbe chiesto don Abbondio. E Laura Carta Caprino, Vittoria Michitto, Giuseppa Sigurani? Chi erano costoro? Mogli. Di altrettanti presidenti della Repubblica: Giovanni Gronchi, Antonio Segni, Giovanni Leone, Francesco Cossiga. Qualcuno le ha mai viste in faccia o sentite nominare? Forse gli addetti ai lavori (quirinalisti, cronisti parlamentari) dalla memoria ferruginosa. E forse solo la terza, considerato che il marito fu ingiustamente costretto alle dimissioni.
Ma questo che ci è dato da vivere è il tempo dei vice. Viceuomini o vicepremier, fa lo stesso. Quindi le donne dei capi – diciamo pure capetti – si vedono eccome. Di più: vengono esposte. La loro ostensione serve infatti a rafforzare l’immagine pubblica dei rispettivi partner (provvisori), bisognosi d’essere circonfusi da un’aura di normalità. Qualcuno comincia a parlare di governo del cambialetto, più che del cambiamento.
Narrano le cronache degli ultimi giorni che Rocco Casalino ha inviato ai giornalisti amici il seguente sms: «Domani di maio va con la sua nuova fidanzata al teatro dell opera a Roma». L’ho riportato alla lettera per dimostrare che in certi ambienti l’ortografia è stata derubricata a pregiudizio borghese.
Chi è Rocco Casalino? Non proprio un Carneade. Trattasi del portavoce del presidente del Consiglio, nientemeno. Quando Giuseppe Conte tiene una conferenza stampa a Palazzo Chigi, lui se ne sta ritto in piedi, la giacca sbottonata, appoggiato con il gomito all’estremità destra della tribuna, manco fosse al bancone di un bar, e da lì sorveglia il capo e gli importuni giornalisti.
L’atteggiamento disinvolto trova una giustificazione nel fatto che Casalino non si è formato all’Institut d’études politiques di Parigi bensì al Grande fratello. Riferisce La Repubblica che la prima volta si presentò a Palazzo Chigi scortato dalla mamma e dal fidanzato cubano ed ebbe a lamentarsi per non avere a disposizione un appartamento privato per sé e per il suo compagno. Espresse anche, sempre secondo La Repubblica, viva contrarietà per le misure dell’ufficio che gli era stato assegnato: «Un po’ piccolina per essere la stanza del portavoce del presidente». È descritto come una sorta di commissario politico del Movimento 5 stelle. Il suo compito è controllare che il vice dei due vice – Conte, appunto – non vada fuori tema e si attenga all’ortodossia, ieri grillina e oggi dimaiesca, essendo stato il padre nobile del M5s declassato al rango di garante dall’ex bibitaro napoletano.
Dunque, Casalino avrebbe dato l’imbeccata a scribi e paparazzi affinché accorressero al Teatro dell’Opera di Roma a vedere e fotografare l’ottava meraviglia, cioè la nuova morosa del predetto Luigi Di Maio. Trattasi di Virginia Saba, 36 anni, giornalista sarda, che ha preso il posto di Giovanna Melodia, la quale aveva a sua volta rimpiazzato Silvia Virgulti.
Non contento d’aver fatto passerella con la nuova fiamma sui quotidiani e sulla stampa rosa, Di Maio ha rilasciato un’omerica intervista a Panorama che principiava con il seguente proclama: «Allora, a me piacciono le donne». Excusatio non petita. A ogni buon conto, ce lo segniamo.
Non ancora contento, s’è fatto cogliere in camporella dai teleobiettivi di Chi («immagino sapesse che eravamo dietro gli alberi», ha svelato uno dei cinque fotoreporter che si erano appostati nel parco di Villa Borghese): lui irrigidito nell’erba, lei avvinghiata come un polpo mentre lo bacia tenendolo per le orecchie al fine d’immobilizzarlo. In uno scatto, il vicepremier approccia le labbra della signorina in un modo talmente impacciato da dar l’impressione che stia per sputare un nocciolo di ciliegia. Poi si è ricomposto e ha concesso una replica davanti alla Fontana di Trevi, manco fosse Marcello Mastroianni che ha per le mani Anita Ekberg. Ok, onorevole, abbiamo capito, le piacciono le donne, può ricomporsi.
L’altro vicepremier, Matteo Salvini, per non essere da meno, ha prontamente avviato un nuovo filarino con Francesca Verdini, figlia di Denis, ex macellaio, ex banchiere, ex editore, ex senatore, ex consigliere di Silvio Berlusconi e Matteo Renzi (fu l’ideatore del patto del Nazareno), sottoposto a vari processi, alcuni finiti male. Li hanno fotografati insieme alla prima romana del Dumbo di Tim Burton. Vuoi mettere un bel film d’animazione al cinema invece del palloso Orfeo ed Euridice di Gluck al Teatro dell’Opera? Per apparire ancora più populista, il leader della Lega ha pure comprato alla fanciulla, di vent’anni più giovane, un cartoccio di popcorn.
Qualche giorno dopo, Francesca Verdini è stata beccata (si fa per dire) dal solito fotoreporter di Chi mentre usciva di buon mattino dall’appartamento del vicepremier con addosso un giubbotto bicolore, che era stato indossato in precedenza dall’amato, e persino un paio di pantaloni maschili con il logo della Polizia di Stato. Tecniche mediatiche da ministro dell’Interno, ma soprattutto dell’Esterno.
L’uomo che detta a Salvini le mosse per accrescere la propria popolarità sui social network è Luca Morisi, un ex docente ora insediato al Viminale in veste di «consigliere strategico per la comunicazione», il quale fino al 2016 ha tenuto laboratori di informatica filosofica all’Università di Verona, e specificatamente – com’è piccolo il mondo – presso il dipartimento di Scienze umane diretto da quel professor Riccardo Panattoni che ha promosso in ambito accademico la petizione contro il Congresso mondiale delle famiglie, dove Salvini è venuto a dare la sua benedizione.
La nuova liasion del vicepremier avrebbe gettato nella costernazione Elisa Isoardi. La conduttrice della Prova del cuoco sarebbe, stando alle indiscrezioni raccolte da Dagospia dietro le quinte della Rai, «delusa e amareggiata, dopo aver visto le foto del suo ex in compagnia di Francesca Verdini». Chissà come ci rimase Salvini quando si vide notificare la rottura del fidanzamento a mezzo Instagram, con un selfie (scattato dalla presentatrice, si presume) in cui appariva a torso nudo, addormentato sul petto della Isoardi in accappatoio.
Ce n’è abbastanza per avvertire un’acuta nostalgia dei tempi in cui Giuseppa Sigurani, detta Peppa, rifiutò di seguire il marito Francesco Cossiga al Quirinale, anzi mai una volta ci mise piede, sottraendosi al ruolo di first lady ed evitando accuratamente che circolassero sue foto (l’unica esistente negli archivi fu ripresa con il teleobiettivo mentre faceva la spesa al mercato). Quando il marito si recò in visita ufficiale a Washington, lei viaggiò sullo stesso aereo ma in classe economica. Voleva andare a trovare la figlia che viveva negli Usa e si pagò il biglietto di tasca propria. Giunta a destinazione, solo l’United States secret service, l’agenzia federale che si occupa della sicurezza dei presidenti americani e dei capi di Stato ricevuti alla Casa Bianca, seppe della sua presenza.
Analoga la discrezione di Eleonora Moro, il cui volto apparve sui giornali soltanto dopo che le Brigate rosse le avevano rapito e assassinato il marito Aldo. O di Letizia Laurenti, vedova di Enrico Berlinguer, che in tutta la sua vita concesse una sola intervista, uscita sull’Unità. Altri tempi, altre donne, altri politici, altro stile.
Il primo presidente della Repubblica italiana, Enrico De Nicola, nel 1946 salì sul Colle più alto di Roma da celibe e ne discese con lo stesso stato civile nel 1948. Egli sosteneva che, per svolgere al meglio la loro alta missione, conveniva che i capi dello Stato, come i preti, non si sposassero. Era della stessa idea anche Indro Montanelli, il quale preferiva che i giornalisti fossero scapoli, orfani e bastardi, cioè privi di qualsiasi legame affettivo, a parte quello con il loro giornale. A proposito: delle tre mogli che Montanelli ebbe, l’unica a ottenere un affaccio sulla stampa fu Colette Rosselli, ma solo perché scriveva per Gente con lo pseudonimo Donna Letizia. Della prima, l’austriaca Margarethe de Colins de Tarsienne, detta Maggie, sposata nel 1942, nessuno seppe nulla per 60 anni, fino a quando non fu scovata da una cronista del Quotidiano Nazionale in una casa di riposo di Malnate (Varese). Infine la terza, Marisa Rivolta, che gli fu compagna fino all’ultimo giorno, si rassegnò a comparire soltanto nel decennale della morte del grande giornalista, ma unicamente perché a insistere per avere un’intervista fu il Corriere della Sera, il giornale su cui il suo Indro firmava.
Fra le first lady più ritrose va sicuramente annoverata una veronese, Ida Pellegrini, moglie di Luigi Einaudi, il secondo presidente dell’Italia repubblicana, che abitò al Quirinale senza farsi notare dal 1948 al 1955. Figlia del conte Giulio Pellegrini, era nata nel 1885 a Pescantina. In seguito la sua famiglia si trasferì a Torino, dove Ida frequentò la Regia scuola di commercio annessa all’Istituto internazionale Germano Sommeiller, che ebbe fra i suoi allievi anche Vilfredo Pareto, Giuseppe Pella, Giuseppe Saragat, Luigi Longo e Vittorio Valletta.
Lì insegnava, ventottenne, Luigi Einaudi. L’incontro in aula avvenne nel 1902, quando lei aveva solo 17 anni e non osava neppure alzare gli occhi dal banco per guardarlo. Nell’estate del 1903, al termine dell’anno scolastico, quell’austero docente dai baffetti all’insù si presentò a sorpresa dal padre di Ida a chiedere la mano della contessina. Finiti gli esami, il professore fu «ammesso a conversare di tanto in tanto» con la fidanzata.
In agosto Einaudi andò in vacanza in montagna. Dal conte Pellegrini ottenne il permesso di scrivere alla figlia, con la ragionevole speranza di ricevere qualche risposta epistolare. Il 19 dicembre di quello stesso anno erano già marito e moglie.
Il matrimonio fu celebrato a Torino, nella parrocchia di San Donato, una chiesa senza pretese a mezzo chilometro da piazza Statuto. Solo una ventina di invitati. Ida Pellegrini indossava un tailleur grigio e un cappellino dello stesso colore, con la veletta, e stringeva fra le mani un mazzolino di fiori bianchi. Arrivò alla cerimonia accompagnata dal padre, su una carrozza trainata da cavalli. Seguì uno spartano buffet all’albergo Fiorina.
«Quelli erano tempi così semplici», rievocò mezzo secolo dopo donna Ida in un colloquio con Flora Antonioni, la giornalista che giurava d’aver visto negli archivi del Viminale il plico contenente il fantomatico carteggio fra Benito Mussolini e Winston Churchill, «che non pensai neppure all’abito bianco e a una fotografia insieme il giorno delle nozze. Oggi vorrei tanto aver fatto l’una e l’altra cosa». Però fino alla morte, avvenuta nel 1968, conservò in una scatola il mazzo di fiorellini rinsecchiti.
La prima notte di matrimonio Ida si svegliò di soprassalto e vide il futuro presidente della Repubblica seduto sul bordo del letto, intento a scrivere numeri con un mozzicone di matita sul ripiano di marmo del comodino. «Ma che cosa stai facendo?», gli chiese. E il marito rispose: «Sto facendo i conti per vedere se sono in grado di mantenere te e i figli che verranno».
Non a caso la consorte collaborò poi con il marito nel redigere i bilanci di casa, che nelle intenzioni dell’economista avrebbero dovuto costituire una fonte primaria per lo studio di una famiglia borghese nel primo quarantennio del secolo, come osserva Antonio d’Aroma, che fu segretario particolare del presidente, nel saggio Luigi Einaudi, memorie di famiglia e di lavoro.
Il viaggio di nozze ebbe come mete Roma, dove la coppia alloggiò in un vecchio albergo, Napoli e Taormina. L’anno dopo venne al mondo il primo figlio, Mario, nella casa di campagna, a Dogliani, terra del Dolcetto delle Langhe. Fu l’unica volta in cui marito e moglie sbagliarono i conti: il corredino del neonato era rimasto a Torino e il professore dovette farsi prestare una camiciola dalla contadina che aveva assistito nel parto la giovane moglie. Nacquero poi Maria Teresa, Lorenzo, Roberto e Giulio, che diventò un famoso editore. La prima figlia morì dopo 11 mesi, il secondogenito dopo 27. «Sono molti, non le pare, 27 mesi e anche 11 mesi per il cuore di una mamma», disse a Flora Antonioni, in occasione delle sue nozze d’oro, celebrate davanti all’altare della Cappella Paolina al Quirinale.
«Come i popoli felici, anche i matrimoni felici non hanno storia», titolò per l’occasione il Corriere della Sera. Qualcuno dovrebbe ricordarlo a Di Maio, a Salvini e alle loro future, e per il momento assai improbabili, consorti.