il Giornale, 6 aprile 2019
Intervista a Michele Placido
Michele Placido, attore e regista, è nato a Ascoli Satriano (Foggia).
Michele Placido è un artista multiforme, che non si è accomodato sulla popolarità raggiunta col commissario Cattani, ma ha continuato a sperimentare generi e ruoli. È in scena fino al 14 aprile al Teatro Manzoni di Milano in Piccoli crimini coniugali di cui cura anche adattamento e regia. Qaule consapevolezza le ha dato questo spettacolo rispetto ai rapporti umani?
«Il personaggio che interpreto non appartiene alla mia natura, però è una tipologia di uomo che fa parte della contemporaneità. Con la moglie (A. Bonaiuto) non hanno figli. L’autore, Éric-Emmanuel Schmitt, li coglie soprattutto in relazione alle crisi che toccano questo genere di coppia e in cui si possono rispecchiare parte degli spettatori, in particolare le donne». Ha incontrato tanti maestri durante il percorso, ma oggi siamo un po’ orfani di questa figura...
«Ho avuto dei grandi maestri come Monicelli e Strehler, hanno avuto vite complesse e mi ci rispecchio. La gente cosiddetta per bene; non mi interessa perché non insegna nulla. Le persone che hanno difficoltà nel percorso della propria esistenza e con cui mi sono confidato sono le stesse che mi hanno trasmesso qualcosa».
In questa fase della sua vita si sente più libero come uomo o come artista?
«Più vai avanti e più ti senti libero, diceva Monicelli. Recentemente, incontrando dei ragazzi del Piccolo, ho raccontato le difficoltà che vanno a incontrare come artisti perché il nostro mondo, in questo momento, preferisce avere tutti al proprio servizio».
Cosa non è stato ancora colto di lei?
«Penso di aver avuto tanto nel mio lavoro. Sicuramente ci sono state delle cose che non ho gradito, però i miei crucci sono altri, non una brutta critica o un David di Donatello in più, queste cose lasciamole ai giovani. Il mio cruccio è il tempo che passa e vorrei esprimere ancora tanta vitalità».
La sua opera prima Pummarò riguardava l’immigrazione: quanto è attuale oggi?
«Lo è, non tanto per quello che ho cercato di dire come regista, quanto per le immagini, che sono molto forti. Oggi sono sempre più attuali perché riguardano un fenomeno che viene un po’ strumentalizzato da ambo le parti e poi la questione resta. L’unica cosa che non ha ancora compreso l’Europa non è tanto accogliere o no; il problema è che noi abbiamo rubato tanto da quelle parti. Forse è venuto il tempo di restituire tutto, dovremmo andare lì a ricostruire quello che abbiamo distrutto in questi secoli». Ci racconta un episodio OFF della sua vita? «Uscito dalla Silvio d’Amico avevo una cooperativa off: con Armando Pugliese abbiamo fatto Masaniello, Il barone rampante nelle tende. Erano le cooperative del ’68, in cui politica e teatro andavano quasi di pari passo, ora non c’è più questo aspetto. Quando hai vent’anni fai un altro tipo di percorso, ma quando diventi un signore come me finisce una certa creatività. Speriamo di avere ancora qualche sussulto, come ad esempio il progetto su Caravaggio cui sto lavorando».