La Stampa, 6 aprile 2019
Storia della spilla da balia
La spilla da balia si usava già nell’Età del Bronzo, ma è la Roma Imperiale con eserciti e divise a diffonderla come cintura e spia sociale. Fino a metà Novecento è un oggetto parlante, per via di estetica, materiali e decori. Accessorio funzionale e simbolico, narra società, politica, moda, tecnologia, arte. Nei secoli migra dalla testa ai piedi del corpo umano, come gioiello. A raccontarne oggi le tante mutazioni arriva la preziosa Storia della fibbia tra moda e gioiello (1700-1950) (ed. Skira, 168 pp. 40 €) curata dai docenti Bianca Cappello e Samuele Magri. Uno studio profondo, condito da immagini mirabili della collezione Pennasilico, fra le maggiori al mondo grazie a suoi milleduecento pezzi. Un viaggio incantevole che parte dal Seicento di Luigi XIV: alfiere del lusso francese a Versailles, goloso di fibbie preziose, al punto da possederne da scarpa, manica e giarrettiera. Una collezione che forniva ai valletti un bel lavoro, intenti ad appuntare e toglierle questi preziosi accessori dalle mise regali. Luigi XVI le indossa con fierezza. Poi c’è Madame Pompadour di Boucher, sorridente fra i pizzi rosa come le guance, audace nel gesto «peccaminoso» di scoprire il piede con tanto di scarpina affibbiata.
Anche in Italia è molto apprezzato il luccichìo dei diamanti sull’argento, il cantante Farinelli (1705-1782)ne possedeva di ricche di ben 28 pietre purissime. Venezia è maestra nei decori preziosi e ingannevoli vetri sfaccettati: Casanova smaschera un impostore dai falsi nelle fibbie. Ambulanti e fiere, specie nella campagna inglese, le vendono già pronte su scarpe per ogni ceto. A fine 700 la prima rivoluzione industriale le rende economiche per borghesi: in vermeil, similoro, «princisbecco» e con strass, i cristalli di vetro con piombo silicio inventati da Georg Friedrich Strass, gioielliere del re Sole. La ricca Inghilterra riporta dai Grand Tour italiani il tacco sottile dei «Macaroni» affibbiati. Birmingham produce e impone all’800 le nurse buckle, spille in argento e ottone. La novità fino al 1920 è lo scintillante «acciaio sfaccettato» anche per gioie.
Tricolori con la Rivoluzione
A fine 700 la scarpa da uomo va bassa, comoda senza lacci ma sempre con fibbia che torna sui «collaretti» cari al Goldoni. La presa della Bastiglia le forgia in tricolore intitolate «Terzo Stato», «Nazione», «Bastille»: in pratica le bandisce. Napoleone scruta Grecia, Roma, Egitto, le vesti femminili a vita alta e cintura seducono il giovane Ingres, l’elegante lira, il cammeo, conchiglie dal Sud Italia fermano i mantelli. Col Crystal Palace all’Expo Universale di Londra 1855, e poi a Parigi, è revival dell’antico. L’Italia dell’Unità costruisce fabbriche di bigiotteria per borghesi e operai. Verso lo scatto del XX secolo le signore riscoprono i tacchi fino a 16 centimetri con linguetta e fermaglio in marcasite, vetro, perline.
Il vento simbolista attraversa l’Europa con miti e fantasmi, così si librano libellule eteree, fioriscono calle e orchidee sublimi accanto a serpenti ammaliatori. Nascono i gioielli fantasia in celluloide, rame, ottone. È la grande stagione dell’Art Nouveau nelle diverse declinazioni con i geniali Mucha, Lalique, Van de Velde, Moser, Hoffman e i gioiellieri Fabergé, Boucheron, Cartier, Tiffany in America. Ma la «femme fatale» della Belle Époque si infrange contro la Grande Guerra. Nasce la donna moderna grazie a Coco Chanel: corti capelli e gonne, linee semplici, bijoux, perle di vetro, cappellini minuscoli in testa. Corre il 900 con rappel-à l’ordre e crisi del ’29 a Wall Street. Il Déco raffinato nelle geometrie in onice, bachelite, smalti, trionfa all’Expo 1925 di Parigi. Con Mussolini i fasci e il Duce rivivono in onice, bachelite, malachite, lapislazzuli. Elsa Schiaparelli inventa la cintura a carillon, e con Cocteau e Dalì disegna il Surrealismo su madreperla, bachelite, celluloide. Nel ’32 Torino inaugura l’Ente Autonomo per Mostra permanente della Moda; nel ’35 l’autarchia sceglie paglia, sughero, cellophane. Il secondo dopoguerra vede gonne al ginocchio e scarpe a zeppe di sughero di Ferragamo. Ma lo «stile a corolla» di Dior nel ’47 ne decreta il tramonto. Solo stilisti inventivi resistono, come Saint-Laurent nell’abito «Mondrian», 1965. Ora tornano, il progetto del libro ha convinto l’Accademia di Brera a tenere un workshop: a luglio la mostra a Palazzo Morando.