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 2019  aprile 06 Sabato calendario

Biografia di Fred Bongusto

Fred Bongusto (Alfredo Antonio Carlo Buongusto), nato a Campobasso il 6 aprile 1935 (84 anni). Cantante. Compositore. «Come tutti coloro che poi sono diventati qualcuno, ho cominciato a cantare nei night. Non sempre è stata un’esperienza fortunata, in quanto le ore erano tante. Cominciavi alle nove o alle dieci della sera e finivi alle cinque del mattino. Una sfacchinata pazzesca. Ma quello allora era l’unico posto dove la vita pulsava, nel bene o nel male. […] Poi il night si è allargato, e quasi tutti noi siamo andati a cantare nei dancing. L’esperienza al night ci aveva formato musicalmente» • «Non aveva altra scelta. Eliminare i due nomi anagrafici, Carlo e Alfredo, e adottare quello del suo idolo, Fred Buscaglione. Già che ci stava, tolse anche la "u" dal suo cognome reale, Buongusto, e a quel punto era quasi credibile come italo-americano: Fred Bongusto» (Dario Salvatori) • «Mio padre era di Monte di Procida, e l’amore per Napoli e per i suoi linguaggi mi è sempre venuto naturale. Ho vissuto di quelle atmosfere, ci sono precipitato dentro. Rivedo ancora mio padre che suonava la chitarra. Nonostante sia morto quando avevo solo sei anni, nella campagna di Grecia durante la guerra, io lo ricordo benissimo. L’ultima volta che l’ho visto mi era venuto a prendere a scuola con una bicicletta Bianchi, mi portò in giro, seduto in canna: una meraviglia» (a Michela Tamburrino). La folgorazione per la musica giunse improvvisa, durante l’adolescenza. «A Campobasso quando nevica non scherza. Un inverno, avrò avuto sedici o diciassette anni, entrai nella hall di un piccolo albergo. Fuori c’erano due metri di neve. Le strade statali impraticabili. Seduto, un signore suonava la chitarra. Era un commesso viaggiatore che era stato costretto a fermarsi lì. Era bravissimo, ma soprattutto suonava una musica che mi affascinava. Ne fui talmente colpito che non mi sono più mosso e pregavo Dio di far continuare a nevicare. Ricordo un pezzo che mi colpì tantissimo. Ma il titolo l’ho saputo solo anni dopo: Mood Indigo di Duke Ellington. Da quel momento ho iniziato a suonare la chitarra. Poi ho raggiunto i miei zii in Nord Italia. Ho cominciato a cantare. Sono entrato in un complesso diretto da un fisarmonicista con il quale sono stato in Germania. A quell’epoca c’erano almeno due o trecento orchestre italiane che suonavano in tutta Europa. Sono stati anche questi gruppi che hanno fatto nascere l’amore per l’Italia». «Ho cominciato a Torino che era piena di locali. Era il 1959, avevo appena finito il liceo con una voglia matta di fare musica sulla scia di Bruno Martino, Don Marino Barreto. Sognavamo i locali che portavano cento persone: atmosfera raccolta, diretta a gente attenta che aveva bisogno di musica persuasiva per parlare d’amore all’orecchio della ragazza. Il bello era proprio lì, nella disperazione degli sguardi, nei sussurri, nella speranza che forse c’è un domani, che forse ci vogliamo bene». «La sua carriera […] partì a combustione lenta, visto che a venticinque anni non era ancora nessuno, per di più in un periodo in cui andavano di moda i giovanissimi. Colpa della sua città di provenienza, Campobasso, fortemente decentrata, e dall’accanimento con cui amava studiare, liceo classico prima, facoltà di Giurisprudenza dopo. Ma dal 1963, ormai ventottenne, fu successo pieno» (Salvatori). «Nel 1963 […] vivo l’anticipo del boom. Escono Doce doce e Frida. Veramente tutto inizia con una sigla musicale, non mi si vedeva ma mi si sentiva: Amore fermati». «Doce doce è nata spontaneamente. Non c’era assolutamente la volontà di farne una canzone di successo. L’arrangiamento lo fece Piero Soffici, un sassofonista, che decise di eseguirlo a tempo lentissimo. Fu probabilmente questo che contribuì al successo di quel pezzo. Poi arrivò Frida, che a differenza delle altre era più commerciale». «“Ma la vera fortuna bussa un anno dopo con Una rotonda sul mare. L’ho capito subito, che era perfetta. Mi ricordo che incontrai Gorni Kramer in Galleria a Milano e gli dissi: ‘Ho scritto una canzone nuova: se non fa successo, cambio mestiere’. Andò tutto bene, eppure quella canzone ebbe un’infinità di traversie”. Quali? “Ero in Rca per l’arrangiamento, mi volli affidare a un brasiliano che però partì per impegni improvvisi dopo aver preparato solo quattro battute d’arrangiamento. Io, disperato, mi affidai ad Augusto Martelli, che all’epoca era innamorato pazzo di Mina, e dunque il giorno della registrazione, visto che doveva vedere lei, mi mandò il padre al suo posto. Io volevo uccidermi. Si incominciò così, alla ventura, senza capire bene dove si andava. Alla fine ci accorgemmo che una mano divina era intervenuta sul pezzo”. E fu un trionfo. “Certo: ancora adesso è la canzone sinonimo dell’estate, delle vacanze, del mare”» (Tamburrino). «Fu proprio quest’ultimo brano, nel 1964, a mettere a punto lo stile del cantante molisano, un crooner che amava lo swing ma anche la musica brasiliana, sempre romanticamente ispirato in tutti questi generi. Se a Una rotonda sul mare spettò il ruolo di primo grande tormentone estivo, non furono da meno gli altri brani che Bongusto dedicò alla sua stagione preferita, da Prima c’eri tu (con cui vinse il Disco per l’Estate) fino a Tre settimane da raccontare, La mia estate con te. Seppe toccare con classe anche il dixieland (Quando mi dici così con Minnie Minoprio, Quattro colpi per Petrosino, Spaghetti, pollo, insalatina e una tazzina di caffè a Detroit) e il repertorio di Jobim e De Moraes. […] I primi guai arrivarono intorno alla metà degli anni Settanta, quando il night, ovvero il suo regno naturale, lasciava spazio dalla discoteca. Cambiava un’epoca, e di brutto. Chi era abituato ad intrattenere il pubblico in un certo modo era ormai fuori moda, vinto dai decibel delle cattedrali della dance e da chi rincorreva lo sballo. Per molti cantanti della sua generazione fu un momento bruttissimo. Erano cambiati i parametri di giudizio. L’intonazione, la quadratura e il glissato non contavano più nulla: ora a prevalere era il look, le luci, qualche trucco in sala di registrazione, molta approssimazione. Bongusto si difese a suo modo, con classe e stile, firmando qualche dozzina di colonne sonore (fra cui Malizia) e defilandosi all’estero, soprattutto in Brasile, dove è sempre stato conosciuto e stimato. I suoi ultimi titoli a comparire in hit parade, non certo nelle prime posizioni, sono Attento disc jockey (velata minaccia) e Cantare, e addirittura un album del 1990 dal profetico titolo Quando posso torno. Da allora poco o nulla, a parte una riuscita collaborazione con l’arrangiatore Don Costa» (Salvatori). «Negli anni ’80 partecipa in un paio di occasioni al Festival di Sanremo (dove era già stato due volte negli anni ’60) senza grandi riscontri» (Enrico Deregibus). «Nel 1992 ha accompagnato in tournée il grande chitarrista Toquinho, mentre nel 1996 ha fatto coppia con un altro cantante confidenziale dalla lunga carriera, Peppino Di Capri. Del ’97 è l’album Io le canto accussì, che propone interpretazioni in dialetto partenopeo di grandi successi internazionali. Le riletture riguardano, fra l’altro, la gemma del jazz Stardust di Hoagy Carmichael, La vie en rose, Feelings, Garota de Ipanema e Les feuilles mortes. Nello stesso tempo, scrive in collaborazione con Mogol È successo ieri sera» (Enrico Ferrari). «Negli ultimi anni ha ridotto le uscite pubbliche, e quando è stato contattato anche dalla Rai per intervenire a trasmissioni televisive e radiofoniche ha quasi sempre detto di no. L’età si fa sentire, ma non ha abbandonato la musica: nelle sue puntate napoletane, frequenta il musicista argentino Diego Moreno, che collabora con lui da diversi anni: un passatempo che potrebbe anche tradursi in qualche nuovo progetto discografico. Si divide tra Roma […] ed Ischia» (Giuseppe Villani). «Tra le ultime sue apparizioni pubbliche, quella del 22 aprile 2013, in occasione del concerto in ricordo di Franco Califano, quando ha cantato la canzone scritta per lui dallo stesso Califano Questo nostro grande amore. Nel 2013 ha duettato in Amore fermati con Iva Zanicchi nel disco della cantante In cerca di te» (Claudia Fascia) • «Le sue sono le tipiche canzoni che rendono al meglio accompagnate dal suono della risacca e dalle grida dei gabbiani. D’altra parte, ha l’onore-colpa di aver scritto Una rotonda sul mare, brano del ’64 che ha dato il nome a una fortunata trasmissione e che è il simbolo del genere “da spiaggia”. Fred Bongusto, però, non è soltanto questo. […] Bongusto è anche apprezzato compositore di colonne sonore: i suoi brani figurano in Matrimonio all’italiana, film di Vittorio De Sica con Sophia Loren e Marcello Mastroianni, Il tigre con Vittorio Gassman splendido quarantenne e Venga a prendere il caffè da noi con Ugo Tognazzi» (Ferrari) • «La rotonda in questione, almeno così si crede da sempre, è quella di Senigallia. Fred Bongusto e Franco Migliacci, entrambi innamorati di quel tratto di mare a nord di Ancona, ambientarono lì una delle canzoni destinate a entrare nella storia della nostra musica leggera. […] Di recente, l’amministrazione comunale di Senigallia ha stabilito che in quella rotonda sul mare (da quelle parti la chiamano “rotonda a mare”) oggi ci si può anche sposare, naturalmente con rito civile. Meta di pellegrinaggi, […] quella specie di tempietto è stato celebrato da tutti, almeno fino al 2009, quando Migliacci ha sparigliato le carte e gettato tutti nello sconforto annunciando che la vera rotonda sul mare è, in realtà, una rotonda sul lago. “Io sono di Cortona”, ha dichiarato a La Stampa, “e dal mio paese si vede uno spicchio di Trasimeno. Da ragazzi ci si andava sempre in bicicletta. Poi sono andato via, ma mi è rimasto il ricordo. Sì, ho un po’ barato, è vero”» (Massimo Cotto). In precedenza, però, lo stesso Bongusto aveva ricostruito così la genesi del brano: «La canzone è nata nell’inverno del 1962, dopo il Carnevale passato un po’ a Riccione e un po’ (martedì grasso) in provincia di Ancona, in uno di quei vecchi dancing di cui non ricordo più il nome. Tornato a Roma, mi incontrai con Franco Migliacci, a cui, precedentemente, avevo lasciato un nastrino con la musica della Rotonda sul mare. Parlammo un po’ di tutto, poi il discorso si fermò sul fascino di quel mare a nord di Ancona e su come sarebbe stato bello scrivere una canzone ispirata da tutto quel ben di Dio (la rotonda sul mare, le stradine costruite parallele alla sabbia e le reti da pesca danzanti sulle onde…). Fino ad allora avevamo respirato un mare troppo partenopeo. “Una rotonda sul mare, / il nostro disco che suona, / vedo gli amici ballare…”. Invitare una ragazza a fare due passi sulla rotonda era un po’ come comprometterla. Poche luci, poca gente, pochi baci…» • Storia d’amore cinquantennale con l’attrice Gabriella «Gaby» Palazzolo, conosciuta nella seconda metà degli anni Sessanta, quando la donna era ancora coniugata con l’attore statunitense John Drew Barrymore (1932-2004), e sposata nel 1980. «Ero pieno di ragazze. Ero scappato da casa, da Campobasso, dove mi dicevano “Ma che, vuoi fare il bandista?” quando parlavo di musica. Ne ho fatte, di battaglie: dieci anni da zingaro, e quante bugie ho detto. Finché il buon Dio mi ha fatto conoscere una donna con una bambina di due anni, e mi sono innamorato perdutamente di tutte e due» (a Maria Pia Fusco). «Abbiamo la figlia di mia moglie, che ho accolto quando aveva due anni ed è come se fosse mia figlia biologica. Poi decidemmo di non averne, per paura del domani, di una vita incerta. Quando abbiamo capito di aver sbagliato, era troppo tardi. Ora vedo tutti quei bambini abbandonati, in zone di guerra, con gli occhi spauriti. Voglio dedicare parte delle mie cose a questi angeli» • «Sono diventato un maniaco del tennis, e lo devo a Peppino [Peppino Di Capri – ndr]. Agli inizi della nostra amicizia, ci incontrammo a Riccione, dove suonavamo entrambi. Lui era già famoso, aveva già fatto Voce ’e notte e Malatia. Io ero giovane, stavo sempre appresso alle donne, e lui mi consigliò il tennis: diceva che per rilassarsi era meglio» • Grande passione per il fumetto Tex. «Ricorda di quella volta che, durante una tournée in Sicilia, “ad Acireale, a Ferragosto, feci aprire un’edicola perché ancora non avevo trovato l’ultimo albo”» (Alessandro Fulloni) • «Classico rapporto di amore-odio con la terra natia, emerso anche in due sue canzoni: la celeberrima Molise (dove ci sono “due giorni di sole e cento piove”, e dove chi di ti incontra canta sempre la stessa canzone: “Quando sei arrivato? Quando te ne vai?”), con il ritornello “Mulis’ puozz’ ess’ accis”, e poi, al compimento dei 60 anni, Campobasso e il gabbiano su musiche di Jobim (“Voglio ritornare a Campobasso… prendo l’autostrada del passato… forse ritornare è troppo tardi, anche se i ricordi non li cancelli più”)» (Villani) • «È uno dei protagonisti dell’epoca dei cantanti da night club. […] Il taglio sentimentale ma adulto dei suoi brani insieme al modo particolare di porgere le parole, al viso intenso, contribuiscono alla notorietà di Bongusto» (Deregibus). «Amico-rivale di Peppino Di Capri, più giovane di quattro anni, Bongusto nei primi anni Sessanta quasi si contrappose allo stile "sincopato", così si diceva allora, del cantante caprese, ispirato al rock’n’roll delle origini, optando per un atteggiamento confidenziale e una vocalità avvolgente e sussurrata. "Doce doce", per l’appunto. Grande fan di Frank Sinatra, Bongusto fu tra i pochi in Italia, insieme a Johnny Dorelli, a riprenderne la lezione. Legando però lo stile tipico del crooner alla lingua napoletana: molto adatta, secondo Bongusto, alla sua particolare vocazione melodica» (Antonio Tricomi). «Chissà perché, nell’infernale tritatutto che ha demolito nelle lunghe stagioni estive pure il gusto della memoria, chissà perché si è salvato il cantante confidenziale Fred Bongusto, pochissimo ricordato anche se ha segnato davvero un’epoca. […] Il crooner di Campobasso […] non correva dietro ai ritmi e agli americanismi, in questo ramo. Esibiva per le vacanze uno stile piano e un po’ flautato, ampie melodie di impianto classico, con sfogo di violini e coretti, come se negli anni non volesse mai muovere i fedelissimi dalla mattonella in quel ballo della rotonda sul mare che gli aveva dato ampia fama. Spingeva sul pedale dei sentimenti da spiaggia dei più adulti, sull’abbandono dell’amata o sulla visione celestiale di lei che esce dal mare: un romantico a tutto tondo, non adatto neanche nel revival forse, in questi tempi così spicci e cinici. Così, di Bongusto si ricorda solo e sempre Spaghetti a Detroit (che faceva: “Spaghetti, pollo, insalatina e una tazzina di caffè / a malapena riesco a mandar giù”), del ’72: divertente, ma gli somiglia meno delle sue estenuate canzoni estive» (Marinella Venegoni). «Artista amatissimo dal pubblico, forse emarginato dalla tv, dai festival e sovrastato da tutti quei generi musicali che oggi vanno per la maggiore. […] Stilisticamente il suo modello è stato Frank Sinatra (come non ricordare la sua versione di The World We Knew con il titolo Ore d’amore?), ma forse ancor di più Nat King Cole, del quale rispettava tutto, dalla maestria pianistica a quella voce roca e ricca di swing. […] Rimane la sua formula, il modo di cantare e soprattutto di utilizzare la voce. Forse non ci saranno più i night, ma il suo stile compassato e malinconico, unitamente ad un timbro sicuro e ad un colore di voce inconfondibile, ne hanno caratterizzato l’intera carriera. Un artista che forse non ha saputo offrire appetibili novità in questi ultimi anni, ma che ha creato un modello, uno stile. Le sue canzoni compaiono frequentemente nei talent, nei game-show, nei karaoke, ma di lui nessuna traccia. Anche la salute non è stata benigna con lui negli ultimi tempi, ma il totale oblio si poteva evitare. Gli artisti che hanno lasciato una traccia importante vanno rispettati anche quando passano di moda. In questo abbiamo ancora molto da imparare dagli Stati Uniti e dalla Francia» (Salvatori). «Un gigante per talento ed espressività, troppo spesso considerato solo cantante confidenziale» (Renato Sellani) • «Ha conosciuto Chet Baker e Burt Bacharach, ha collaborato con Toquinho e Vinícius de Moraes, si è ispirato a Louis Armstrong, ma quale personaggio le è rimasto più impresso? “Certamente Ella Fitzgerald. Intorno agli anni Ottanta, poco prima che morisse [in realtà, la cantante morì nel 1996, dieci anni dopo il loro incontro, risalente al maggio 1986 – ndr], l’ho conosciuta a Saint Vincent, dove lei avrebbe cantato in una serata d’onore per gli Agnelli. Io ero al Casinò, mi chiamarono: ‘Vieni a suonare il piano per Ella, un’improvvisata’. Fu un incontro fantastico, lei restò conquistata dalla mia voce. Andammo a mangiare insieme, e lei continuava a ripetermi ‘What a voice!’. Decidemmo di incidere un lp a due voci: io avrei cantato in italiano, lei in inglese. Restammo che mi avrebbe chiamato di lì a una settimana, appena tornata in America. Non la sentii più: mi dissero che si era ammalata. Non si riprese più”. E un incontro che le ha lasciato l’amaro in bocca? “Quello con Sophia Loren. Avevo scritto con Armando Trovajoli la musica del film Matrimonio all’italiana e cantavo nel film la canzone. Ci fu una grande presentazione a Roma e fummo tutti invitati. Alcuni amici in sala mi suggerirono di andare dalla protagonista, da Sophia Loren, per farmi conoscere, visto che aveva molto apprezzato il tema che avevo scritto. Mi accolse come un questuante, mi guardò come fossi un pellegrino: capii che la mia presenza la infastidiva. Ci soffrii molto”» (Tamburrino) • «Io ho sempre avuto il dono dello swing, la voglia dello swing. Ma lo swing che c’era allora oggi non c’è più. E non mi parlate di quel canadese, Michael Bublé. Meglio Tony Bennett». «Dopo gli anni Cinquanta non è salito alla ribalta un solo artista in grado di farmi emozionare. Le eccezioni? Pochissime, forse soltanto i Beatles» (Pietro D’Ottavio). «Noi abbiamo avuto la gioia di andare nei posti a distanza di anni e trovare che la gente cantava ancora le nostre canzoni. Quanto dura la stagione di un artista di oggi? Non sono polemico, ma è vero che certi cantautori che hanno scritto belle parole politiche ma brutta musica hanno un po’ rovinato la canzone italiana». «E lei, autore e interprete di memorabili successi estivi, come vede i tormentoni di oggi? “Robaccia: se una canzone non supera una stagione, è da buttar via. Non credete a quello che dicono le radio, alle classifiche. Sono imposizioni dei discografici, montature: perché oggigiorno i dischi non si vendono d’inverno, figuriamoci d’estate”. Insomma, è tutto sbagliato, tutto da rifare: “Dipende dal Comandante che sta lassù. Da Lui ci arriva l’ispirazione, e Lui ha deciso questa lunga quarantena della canzone italiana: ‘Avete avuto la canzone napoletana? Mò per un po’ basta’. Perché, vede, io credo. Bisogna credere. Altrimenti, che campiamo a fare?”» (Fulvio Paloscia).